Per non Dimenticare: 18 Febbraio 1861 primo parlamento dello Stato colonizzatore italiano

18 Febbraio 1861: si riunisce il primo parlamento del nuovo Regno d’Italia
Da qui nasce quel connubio politico mafioso italo-siciliano che ci ha governati nel tempo sino ad oggi.

un regno costruito sull’eccidio dei Popoli e la colonizzazione dei due regni mediterranei, l’allora regno delle due sicilie, voluto da Camillo conte di Cavur e finanziato dall’asse anglo-savoiardo e portato in atto dal mercenario Giuseppe Garibaldi al comando dei mille criminali, atto a saccheggiare e colonizzare i regni mediterranei allora ricchi e prosperosi.

Vittorio Emanuele II di Savoia convoca, a palazzo Carignano di Torino, il primo parlamento del nuovo Regno d’Italia.
gli ascari e traditori della Sicilia Ruggero Settimo, presidente del parlamento Siciliano del 1848-49 costituito dalla casta nobiliare Siciliana e Francesco Crispi organizzatore e stragista della spedizione dei mille in Sicilia, come ricompensa, assumono cariche importanti nel nascente parlamento unitario italiano.

 

E’ composto da 443 deputati (oggi sono 630).

Un parlamento eletto con criteri ancora alquanto elitari. Solo una minima parte dei sudditi del nuovo regno poteva infatti esercitare il diritto di voto: in pratica solo 418.696 cittadini, con adeguate caratteristiche di censo e di istruzione, su una popolazione totale di oltre 22milioni di abitanti.

Le prime elezioni politiche per formare la prima Camera del Regno (il Senato restava di nomina regia) si svolsero infatti sulla base di una legge sarda del 1848 (la numero 680 del 17 Marzo di quell’anno) che ammetteva al voto solo i cittadini maschi che avessero compiuto almeno 25 anni, e che appartenessero ad un censo determinato dal pagamento di un importo minimo di imposte che variava dalle 40 lire annue del Piemonte alle 20 della Liguria. Redditi che per quell’epoca significavano essere possidenti o agiati imprenditori.

Oltre agli appartenenti a questa classe di censo, erano ammesse al voto anche altre categorie di elettori in possesso di particolari requisiti professionali, quali i laureati, i notai, gli ufficiali in pensione, pur che in possesso di almeno la metà del censo richiesto.

La legge consentiva infine l’iscrizione nelle liste elettorali di commercianti, industriali, artigiani, pur non soggetti a particolari imposte dirette per la loro attività. I

n pratica solo il 2% della popolazione deteneva il diritto attivo/passivo di votare od essere votati. Il sistema elettorale del tempo era inoltre fondato su collegi uninominali, a due turni, sul modello francese.

 

 

Prima legislatura regno d’italia

 

Presidente del Consiglio dei ministri:
Camillo Benso Conte di Cavour
Dal 23 marzo 1861 al 12 giugno 1861

Fu ministro del Regno di Sardegna dal 1850 al 1852, capo del governo dal 1852 al 1859 e dal 1860 al 1861. Nello stesso 1861, con la proclamazione del Regno d'Italia, divenne il primo presidente del Consiglio dei ministri del nuovo Stato, e morì ricoprendo tale carica.

Fu protagonista del Risorgimento come sostenitore delle idee liberali, del progresso civile ed economico, dell'anticlericalismo, dei movimenti nazionali e dell'espansionismo del Regno di Sardegna ai danni dell'Austria e degli stati italiani preunitari.

In economia promosse il libero scambio, i grandi investimenti industriali (soprattutto in campo ferroviario) e la cooperazione fra pubblico e privato. In politica sostenne la promulgazione e la difesa dello Statuto albertino. Capo della cosiddetta Destra storica, siglò un accordo (Connubio) con la Sinistra di Urbano Rattazzi, con la quale realizzò riforme senza l'appoggio delle ali estreme del parlamento. Contrastò apertamente le idee repubblicane di Giuseppe Mazzini e spesso si trovò in urto con Giuseppe Garibaldi della cui azione temeva il potenziale rivoluzionario.

In politica estera coltivò con abilità l'alleanza con la Francia grazie alla quale, con la seconda guerra di indipendenza, ottenne l'espansione territoriale del Regno di Sardegna in Lombardia.

Benché non avesse un disegno preordinato di unità nazionale, riuscì a gestire gli eventi politici (sommosse nel Granducato di Toscana, nei ducati di Modena e Parma e nel Regno delle Due Sicilie) che assieme all'impresa dei Mille portarono alla formazione del Regno d'Italia.

 

Presidente della Camera dei deputati

Urbano Rattazzi
Dal 18 febbraio 1861 al 3 marzo 1862
Nato a Alessandria, il 20 giugno 1808, da famiglia benestante, si dedicò agli studi di legge, laureandosi a Torino in giurisprudenza e cominciando ad esercitare come avvocato a Casale Monferrato, diventando in breve tempo uno dei più valenti avvocati del senato cittadino. Poco dopo Rattazzi si lasciò distrarre dalla passione politica: infatti nell'agosto del 1847, tenutosi a Casale il congresso dell'Associazione agraria di Torino, fu tra coloro che firmarono un indirizzo, rivolto a Carlo Alberto e ideato dal socio Giovanni Lanza, per avere concessioni maggiori, simili a quelle adottate per Firenze e Roma, come l'istituzione della Guardia Civica e la concessione della libertà di stampa.


Presidente del Senato
Ruggero Settimo Presidente del Senato[

Dal 18 febbraio 1861 al 25 maggio 1863

Si formò presso l'Accademia Borbonica della Real Marina delle Due Sicilie di Napoli e diventò nel 1793 ufficiale della flotta borbonica, e combatté i corsari barbareschi.

Combatté a fianco della flotta inglese nel Mare Mediterraneo contro i francesi di Napoleone Bonaparte. Riconquistò l'isola di Malta, e difese la città di Gaeta vicino Napoli.

Fu Ministro della Marina (1812-13) e della Guerra (1813-14) del Regno di Sicilia (1734-1816)[1].

Ruggero Settimo è stato uno dei protagonisti della Rivoluzione siciliana del 1848, e fu presidente del comitato insurrezionale.

Appoggiò sia le idee repubblicane di Pasquale Calvi, sia quelle filo-monarchiche di Vincenzo Fardella di Torrearsa. In quell'anno per le sue idee liberali venne scelto come presidente del governo siciliano. Il 10 maggio dello stesso anno era stato dichiarato "padre della patria siciliana", e il 10 luglio nominato tenente generale dell'Esercito Nazionale Siciliano.

Alla fine il Parlamento scelse di offrire la corona dell'isola al duca di Genova Alberto Amedeo di Savoia che sarebbe diventato re dell'isola con il nome di Alberto Amedeo I di Sicilia.


 

Lo statista siciliano trascorse con malinconia gli anni dell'esilio, dal quale tornò non appena la sua Sicilia venne annessa al neonato Regno d'Italia nell'ottobre 1860. Nel maggio 1860, poche ore dopo aver assunto la dittatura di Sicilia, a Salemi, Garibaldi invia delle accorate parole a Malta, all'indirizzo di Ruggero Settimo, invitandolo a tornare nell'isola, ma in quei giorni non poté farlo per ragioni di salute.

Approvò l'annessione al Regno d'Italia e fu nominato senatore il 20 gennaio 1861. A Settimo venne offerta la carica di presidente del nuovo Senato del Regno, che egli guidò dal febbraio 1861 fino alla morte, avvenuta a Malta nel 1863.

 

Cognome: Crispi

Nome: Francesco 04 ottobre 1818 – 11 agosto 1901

Estremi cronologici dell’attività politica: sec. XIX Luogo/i di svolgimento dell’attività: Sicilia, Londra, Genova, Torino e Roma

Brevi cenni biografici:

Crispi proveniva da una famiglia arbëreshë di Palazzo Adriano. Nel 1846 iniziò l'attività di avvocato a Napoli. Il 12 gennaio 1848 allo scoppio della rivoluzione indipendentista siciliana a Palermo si affrettò a raggiungere l'isola e prese parte attiva alla guida dell'insurrezione. Dopo la restaurazione del governo borbonico, avvenuta il 15 maggio 1849, fu escluso dai benefici dell'amnistia e costretto a rifugiarsi in Piemonte. Qui cercò invano di ottenere un impiego come segretario comunale di Verolengo e si ridusse a sbarcare il lunario facendo il giornalista. Coinvolto nella cospirazione mazziniana di Milano del 6 febbraio 1853, fu espulso dal Piemonte e costretto a rifugiarsi a Malta e in seguito a Parigi. A Malta sposò Rosalia Montmasson, donna intraprendente, decisa e coraggiosa. Nel 1858 si trovava ancora nella capitale francese e, secondo quanto affermato da Carlo Di Rudio nel 1858, partecipò attivamente all'attentato dinamitardo di Felice Orsini contro Napoleone III. Espulso anche dalla Francia, raggiunse Mazzini a Londra, dove continuò a cospirare per il riscatto dell'Italia. Il 15 giugno 1859 rientrò in Italia dopo aver pubblicato una lettera in cui si opponeva all'ingrandimento del Piemonte, autoproclamandosi fautore di uno stato italiano unito e repubblicano. Per due volte quell'anno percorse, in incognito, varie città siciliane, preparando l'insurrezione del 1860. Aderì alla massoneria, 33º grado del Grande Oriente d'Italia, di cui erano membri Agostino Depretis e Giuseppe Zanardelli. Tornato a Genova, organizzò insieme a Bertani, Bixio, Medici e Garibaldi la Spedizione dei Mille. Dopo gli sbarchi a Marsala il giorno 11 e a Salemi il 13, Garibaldi fu proclamato dittatore della Sicilia con le parole d'ordine «Italia e Vittorio Emanuele». Dopo la caduta di Palermo, Crispi fu nominato Ministro dell'Interno e delle Finanze del governo siciliano provvisorio, ma fu presto costretto a dimettersi a seguito dei contrasti fra Garibaldi e gli emissari di Cavour sulla questione dell'immediata annessione all'Italia. Nominato segretario di Garibaldi, Crispi ottenne le dimissioni di Depretis, che Garibaldi aveva nominato dittatore in sua vece, e avrebbe sicuramente continuato ad opporsi risolutamente al Cavour a Napoli, dove era stato nominato da Garibaldi Ministro degli Esteri, se l'arrivo delle truppe regolari italiane non avesse portato all'annessione del Regno delle due Sicilie all'Italia e poi al ritiro di Garibaldi a Caprera e alle dimissioni dello stesso Crispi. Nel 1861 si candidò per la sinistra alla Camera dei deputati nel collegio di Palermo, ma venne battuto. Tuttavia aveva presentato la sua candidatura, grazie a un caro amico siciliano, il repubblicano Vincenzo Favara, anche nel collegio di Castelvetrano; qui Crispi, pur essendo sconosciuto ai più, risultò vincitore grazie alla campagna propagandistica svolta dal suo "grande elettore", che organizzò anche una raccolta fondi per consentire al neo-deputato, all'epoca in gravi ristrettezze economiche, di recarsi a Torino per l'inaugurazione del Parlamento. Alla Camera Crispi acquistò la fama di essere uno dei membri più combattivi e irruenti del partito repubblicano. Nel 1864, tuttavia, si convertì alla fede monarchica, pronunciando la famosa frase, in seguito ripetuta nella sua corrispondenza con Mazzini: «La monarchia ci unisce, la repubblica ci divide». Nel 1866 declinò la proposta di entrare nel governo Ricasoli e nel 1867 si adoperò per impedire l'invasione dello Stato Pontificio ad opera dei Garibaldini, prevedendo la conseguente reazione francese. Fu comunque lui a salvare Giuseppe Garibaldi, prendendolo in consegna alla stazione di 94 Monterotondo e scortandolo fuori dello Stato Pontificio prima che i francesi potessero catturarlo. Allo scoppio della guerra franco-prussiana del 1870 si adoperò energicamente per impedire la progettata alleanza dell'Italia con la Francia e per trasferire a Roma il governo Lanza. Dopo l'avvento al potere della Sinistra nel novembre 1876 fu eletto Presidente della Camera. Nell'autunno del 1877 si recò a Londra, Parigi e Berlino per una missione di carattere riservato, avendo così occasione di stabilire cordiali relazioni personali con Otto von Bismarck. Nel frattempo il rapporto con la moglie si fece burrascoso e Crispi sostenne che le loro nozze non avessero mai avuto validità. Il 26 gennaio 1878 prese in moglie Lina Barbagallo, dalla quale aveva avuto una figlia cinque anni prima. Il matrimonio fu celebrato in casa perché nessuno sapesse niente. Nonostante gli sforzi, però, la notizia trapelò e Crispi venne accusato dalla stampa di bigamia. Lo scandalo coinvolse anche la regina Margherita di Savoia, la quale si rifiutò pubblicamente di stringere la mano al ministro Crispi, dopo aver presa visione della copia fotografica dell'atto di matrimonio celebrato a Malta. Perse la fiducia del re ed fu costretto a dimettersi da ministro. La magistratura aprì un'inchiesta per bigamia che si concluse con un giudizio a suo favore, avendo i giudici accertata l'irregolarità formale del matrimonio maltese, dovuta al fatto che il prete celebrante era in quel momento sospeso a divinis per la sua attività patriottica. Un "processo breve", anzi brevissimo e Crispi ne uscì ancora forte. Per nove anni la carriera politica di Crispi ebbe un periodo di stasi, ma nel 1887 ritornò in carica come Ministro degli Interni nel governo di Agostino Depretis, succedendogli come primo ministro lo stesso anno, a causa della morte di Depretis, già da tempo facile obiettivo delle critiche dell'opposizione per la disfatta coloniale a Dogali e logorato anche nella salute. Nel 1888 Crispi istituì, sul modello tedesco, la Segreteria della Presidenza del Consiglio dei ministri, ponendovi a capo il magistrato sorrentino Francesco Saverio Gargiulo. Nel 1889 approvò il nuovo codice penale di Giuseppe Zanardelli, che introduceva importanti novità in senso progressista, come la libertà di associazione e di sciopero per la prima volta in Europa e l'abolizione della pena di morte. In campo economico, adottò una politica protezionistica, imponendo dazi doganali sui prodotti commerciali. Sviluppò anche l'apparato industriale soprattutto nella metallurgia e siderurgia, le quali infrastrutture erano completamente assenti. Nel 1891 Crispi dovette lasciare il governo a Di Rudinì. Alla caduta del successivo governo Giolitti, causata dallo scandalo della Banca Romana, Crispi ridivenne primo ministro. In questa occasione il suo governo assunse un carattere sempre più conservatore e autoritario (e per questo fu celebrato dal regime fascista come il proprio precursore), reprimendo con severità i disordini operai, fra cui i Fasci siciliani, e sciogliendo nel 1894 il Partito Socialista. Una delle sue prime iniziative da capo del governo fu quella di recarsi in visita presso Bismarck, che desiderava consultare riguardo il funzionamento della Triplice Alleanza. Basando la propria politica estera su tale alleanza, integrata dal trattato navale con la Gran Bretagna (il cosiddetto naval entente). In politica interna Crispi completò l'adozione dei codici sanitario e commerciale e riformò l'amministrazione della giustizia. La disfatta di Adua, nel 1896, provocò la definitiva crisi del suo governo e la sua uscita dalla scena politica.