Corte Costituzionale

La Corte costituzionale, nel sistema politico italiano, è un organo di garanzia costituzionale cui è demandato il compito di giudicare la legittimità degli atti dello Stato e delle Regioni, dirimere eventuali conflitti di attribuzione tra i poteri di dette istituzioni e tra le Regioni stesse, ed esprimersi su eventuali atti di accusa nei confronti del presidente della Repubblica.

Prevista già nel dettato costituzionale del 1948 all'articolo 134, trovò attuazione solo nel 1955 a seguito della legge costituzionale 1/1953 e della legge ordinaria 87/1953 e tenne la sua prima udienza nel 1956.

Competenze

In base all'articolo 134 della Costituzione, modificato dalla legge costituzionale 1/1989 la Corte:
giudica sulle controversie relative alla legittimità costituzionale delle leggi e degli atti aventi forza di legge, dello Stato e delle Regioni, risolve conflitti di attribuzione tra i poteri dello Stato, su quelli tra lo Stato e le Regioni e tra le Regioni, si esprime sulle accuse promosse contro il Presidente della Repubblica, a norma della Costituzione;
in aggiunta a ciò, la citata legge costituzionale 1/1953, all'articolo 2, estese le competenze della corte anche al giudizio di ammissibilità dei referendum abrogativi di leggi ordinarie esistenti.

Composizione

L'art. 135 comma 1 della Costituzione afferma che la Corte costituzionale è composta di quindici giudici nominati:

-       per un terzo dal Presidente della Repubblica

-       per un terzo dal Parlamento in seduta comune

-       per un terzo dalle supreme magistrature ordinaria e amministrativa»; di questi (secondo l'art. 2, comma 1, lettere a), b) e c) della legge n. 87 dell'11 marzo 1953):

-       tre sono eletti da un collegio del quale fanno parte il presidente, il procuratore generale, i presidenti di sezione, gli avvocati generali, i consiglieri e i sostituti procuratori generali della Corte di cassazione

-       uno da un collegio del quale fanno parte il presidente, i presidenti di sezione e i consiglieri del Consiglio di Stato

-       uno da un collegio del quale fanno parte il presidente, i presidenti di sezione, i consiglieri, il procuratore generale e i viceprocuratori generali della Corte dei conti.
Questa struttura mista è finalizzata a conferire equilibrio alla Corte costituzionale: per favorire tale equilibrio il costituente associa, nella composizione dell'organo, l'elevata preparazione tecnico-giuridica e la necessaria sensibilità politica.
La nomina da parte del capo dello Stato è un atto presidenziale in senso stretto per il quale è prevista la controfirma del presidente del Consiglio dei ministri, che può essere negata nel caso di mancanza dei requisiti nei candidati o per gravi ragioni di opportunità.
Quindi il contenuto del decreto è deciso autonomamente dal presidente della Repubblica e la controfirma ha solo lo scopo di certificare la regolarità del procedimento seguito.

L'elezione a opera del Parlamento in seduta comune avviene a scrutinio segreto e con la maggioranza dei due terzi dei componenti dell'assemblea.
Per gli scrutini successivi al terzo è sufficiente la maggioranza dei tre quinti.
L'alto quorum ha spesso determinato ritardi (oltre il termine di un mese previsto da norma costituzionale) nell'elezione dei giudici, pericolosi perché la Corte per funzionare necessita di almeno 11 giudici.
Tanto che nel 2002 per la prima volta la Corte ha rinviato la discussione su una delle cause in ruolo per mancato raggiungimento del quorum di 11 giudici.

L'elezione da parte della magistratura avviene con una maggioranza assoluta dei componenti del collegio e, in mancanza di questa, in seconda votazione a maggioranza relativa con ballottaggio fra i candidati, in numero doppio di quelli da eleggere, più votati.
I giudici sono scelti tra magistrati anche a riposo delle giurisdizioni superiori ordinarie e amministrative, i professori ordinari di università in materie giuridiche e gli avvocati dopo venti anni di esercizio.
Nel momento in cui il soggetto diventa giudice della Corte deve interrompere l'eventuale attività di membro del Parlamento o di un Consiglio regionale, di avvocato e di ogni carica e ufficio stabiliti dalla legge.
Il giudice così nominato resta in carica nove anni, decorrenti dal giuramento, alla scadenza dei quali cessa dalla carica e dall'esercizio delle funzioni. Il mandato non può essere rinnovato.

I membri della Corte costituzionale godono dell'immunità politica e penale simile a quella prevista dall'articolo 68.

Accanto alla composizione ordinaria la Corte conosce una composizione integrata, che si ha ogni volta che la Corte è chiamata a giudicare dei reati presidenziali di alto tradimento e di attentato alla costituzione, previa messa in stato di accusa del Capo dello Stato dal Parlamento in seduta comune a maggioranza assoluta dei suoi membri.
In tal caso la Corte è integrata con 16 membri tratti a sorte da un elenco di 45 cittadini eleggibili a senatore che il Parlamento compila ogni nove anni mediante l'elezione con le stesse modalità stabilite per la nomina dei giudici ordinari.
In tal caso la Corte deve essere composta da almeno 21 giudici e quelli aggregati devono essere la maggioranza.

Ai sensi del combinato disposto dell'articolo 6 della l. n. 87 dell'11 marzo 1953 e dell'articolo 7 del Regolamento Generale della Corte costituzionale, «la Corte elegge a scrutinio segreto sotto la presidenza del giudice più anziano di carica a maggioranza dei suoi componenti il Presidente».
Nel caso in cui nessuno ottenga la maggioranza si procede a una nuova votazione e, dopo di questa, eventualmente, alla votazione di ballottaggio tra i candidati che hanno ottenuto il maggior numero di voti e si proclama eletto chi abbia riportato la maggioranza.
In caso di parità è proclamato presidente il più anziano di carica e, in mancanza, il più anziano di età.
Dopo l'elezione, il presidente della Corte deve comunicare immediatamente la sua nomina al presidente della Repubblica, al presidente della Camera dei Deputati, al presidente del Senato della Repubblica e al presidente del Consiglio dei ministri.
Il presidente, in ossequio al disposto dell'articolo 135, comma 5, della Costituzione, «rimane in carica per un triennio, ed è rieleggibile, fermi in ogni caso i termini di scadenza dall'ufficio di giudice».
Il presidente della Corte, che è la quinta carica dello Stato, è scelto per una prassi invalsa fra i giudici che stanno concludendo il mandato, in modo da garantire una certa mobilità della carica.
Durante l'elezione del presidente, per evitare che le preferenze espresse dai giudici siano conosciute all'esterno, le schede di voto vengono bruciate subito dopo la votazione nel caminetto della Camera di Consiglio.

Il presidente della Corte costituzionale svolge svariate funzioni fra le quali risaltano:

-       la nomina di un giudice per l'istruzione e la relazione nei giudizi di legittimità costituzionale e la convocazione della Corte per la discussione entro i successivi venti giorni, ai sensi dell'articolo 26 della l. n. 87/1953

-       la facoltà di ridurre i termini dei procedimenti nei casi in cui lo ritenga necessario, ai sensi dell'articolo 9 della legge costituzionale n. 1/1953[12]

-       la fissazione con decreto del giorno dell'udienza pubblica della Corte, ai sensi dell'articolo 8 delle norme integrative del 2008[13]

-       la facoltà di regolare la discussione e di determinare i punti più importanti sui quali essa deve svolgersi, ai sensi dell'articolo 17, comma 2, delle norme integrative del 2008

-       la facoltà di votare per ultimo nelle deliberazioni delle ordinanze e delle sentenze e, in caso di parità di voti, la prevalenza della sua preferenza (tranne nei giudizi di accusa nei quali – in ossequio all'articolo 28 della l. n. 20/1962 – «prevale l'opinione più favorevole all'accusato»),[14] ai sensi dell'articolo 17, comma 3, delle norme integrative del 2008

Le attribuzioni conferite dalla legge e dai regolamenti al presidente della Corte, se formalmente lo pongono come primus inter pares rispetto agli altri giudici, sostanzialmente lo pongono in una posizione di effettiva preminenza, seppur non assoluta, ma tale da consentirgli di assolvere a una funzione d'impulso e di coordinamento dei lavori della Corte, oltre che d'influenzare i giudizi di legittimità costituzionale, pur nell'osservanza del principio di collegialità cui s'informa l'attività della Consulta.

Le decisioni della Corte costituzionale assumono la forma delle decisioni giurisdizionali tipiche:   

-       sentenze (decisioni di merito)

-       ordinanze (decisioni processuali)

-       decreti (decisioni procedurali).

Posta la modesta rilevanza esterna dei decreti, si può quindi affermare che le pronunce della Corte si possano distinguere in due categorie:

-       le sentenze di accoglimento e le decisioni di rigetto (siano esse di merito o processuali).

a Corte costituzionale è competente a giudicare:

-       delle controversie relative alla legittimità costituzionale delle leggi e degli atti aventi forza di legge dello Stato e delle Regioni

-       dei conflitti di attribuzione tra i poteri dello Stato e tra Stato e Regioni

-       delle accuse promosse contro il Presidente della Repubblica per i reati di alto tradimento e di attentato alla Costituzione

-       competenze cui si è aggiunto il sindacato sull'ammissibilità dei referendum

Sono esentate dal controllo della Corte le fonti di diritto dell'Unione Europea nei limiti dei principi fondamentali.
Si può quindi affermare che essa svolga una funzione garantista della legittimità e della legalità costituzionale e una funzione arbitrale per ciò che concerne i conflitti.

Sono previste due sole vie di accesso al giudizio della Corte, col procedimento in via incidentale (indiretta o di eccezione) e col procedimento in via di azione (diretta o principale).
Nel primo la questione di legittimità può essere sollevata nel corso di un giudizio e davanti a un'autorità giurisdizionale, per l'altro la facoltà è data unicamente allo Stato e alle Regioni (e alle province autonome di Trento e Bolzano) di presentare direttamente un ricorso di incostituzionalità avverso le leggi rispettivamente della Regione e dello Stato (o di altra Regione).
La giurisprudenza ha poi aggiunto l'ulteriore ipotesi del conflitto di attribuzione tra i poteri dello Stato determinato da una legge o atto avente forza di legge.

In Italia, non è ammesso, invece, a differenza di altri sistemi (Spagna, Germania) alcuna ipotesi di accesso diretto del singolo individuo al sindacato costituzionale per tutelare diritti costituzionalmente garantiti che si ritengano essere stati lesi.

conflitti di attribuzione

Tra poteri dello Stato

Dispone l'art. 37 della legge n. 87 del 1953 che «il conflitto tra poteri dello Stato è risoluto dalla Corte costituzionale se insorge tra organi competenti a dichiarare definitivamente la volontà del potere cui appartengono e per la delimitazione della sfera di attribuzioni determinata per i vari poteri da norme costituzionali».

La legittimazione a sollevare conflitti di attribuzione spetta non necessariamente all'organo gerarchicamente superiore nell'ambito di un potere, ma a quello che può manifestare in via definitiva la volontà del potere cui appartiene.
Così, ad esempio, spetta a ogni autorità giudiziaria la legittimazione a sollevare il conflitto di attribuzioni interorganico nell'ambito della propria competenza.
Anche un singolo ministro, come accadde nel cosiddetto caso Mancuso può essere legittimato a sollevare conflitto tra i poteri.
Rimane infine da sottolineare come la pronuncia della Corte costituzionale riguardi sia l'atto impugnato sia, per il tramite di esso, la competenza e l'attribuzione.[19]

Tra Stato e Regione e tra Regioni

Perché si instauri un conflitto di attribuzione, cosiddetto intersoggetivo, tra Stato e Regione (o tra Regioni) si richiede la presenza di un atto che invada la sfera di competenza assegnata dalla Costituzione allo Stato e alle Regioni.

Pur notando una sostanziale decostituzionalizzazione del parametro (dovendosi quindi, più correttamente, parlare di atti illegittimi e non incostituzionali), risulta impugnabile qualsiasi atto, con l'eccezione delle leggi e delle altre fonti primarie, richiedendosi altresì che la lesione sia attuale, concreta e non meramente virtuale (la Corte costituzionale - ha infatti affermato in una sentenza - non è un consulente costituzionale).

Competente a sollevare il conflitto, come per il giudizio in via principale, è il Consiglio dei ministri o la giunta regionale, con una impugnazione sempre successiva, e caratterizzata da elementi politici oltre che giuridici.
La Corte costituzionale, d'altronde, può sospendere il giudizio e rimettere di fronte a sé stessa questione di legittimità costituzionale della legge in base alla quale è stato adottato l'atto impugnato, così come potrà sospendere l'esecuzione del medesimo atto impugnato.
Anche nel giudizio che risolve un conflitto di attribuzione tra Stato e Regioni, così come quello tra poteri dello Stato, oggetto del giudizio, per il tramite dell'atto, è la competenza, sia in astratto sia in concreto.
Particolare rilevanza presenta, nel giudizio di cui si sta trattando, il problema del contraddittorio. Soprattutto dopo la riforma del titolo V della Costituzione, infatti, si è riconosciuta una sfera di competenze anche agli enti locali sub regionali, i quali rimangono privi di strumenti di tutela attivabili presso la Corte costituzionale.

L'ammissibilità del referendum

Mentre, a norma dell'art. 32 della legge n. 352 del 1970, l'Ufficio centrale per il referendum, istituito presso la Corte Suprema di Cassazione, è competente a pronunciarsi circa la legittimità del referendum, a norma del successivo art. 33 della stessa legge n. 352/1970, nonché dell'art. 2 della legge costituzionale n. 1 del 1953, la Corte costituzionale è competente a pronunciarsi circa l'ammissibilità del referendum.

La giurisprudenza della Consulta, sul punto, è stata notevolmente innovativa, rispetto alle scarne disposizioni costituzionali.
L'unico limite espresso, infatti, riguarda l'oggetto del quesito referendario che, a norma dell'art. 75 della Costituzione, non può riguardare leggi tributarie e di bilancio, di amnistia e di indulto, di autorizzazione a ratificare trattati internazionali.
Accanto a queste limitazioni espresse, la Corte ne ha individuate altre, avendo riguardo a proprietà formali o sostanziali della legge oggetto di referendum (escludendo, in questo modo, le disposizioni di rango costituzionale, le leggi dotate di una forza passiva rinforzata, le norme a contenuto costituzionalmente vincolato).
Per ciò che, inoltre, riguarda la domanda, la Corte ha precisato che essa, per corrispondere alla ratio stessa dell'istituto referendario, nonché al valore democratico del voto, deve rispondere a criteri di razionalità, omogeneità e coerenza.

Il presidente della Corte costituzionale, ricevuta comunicazione dell'ordinanza dell'Ufficio centrale per il referendum che dichiara la legittimità di una o più richieste di referendum, fissa il giorno della deliberazione in camera di consiglio non oltre il 20 gennaio dell'anno successivo a quello in cui la predetta ordinanza è stata pronunciata, e nomina il giudice relatore. Nella camera di consiglio sono ammessi al contraddittorio per essere sentiti i promotori e il Governo.

Ma la Corte ha escluso la partecipazione di altri soggetti in quanto "la richiesta di estendere il contraddittorio ad altri cointeressati all'esito della vicenda referendaria trova insuperabili ostacoli nella stessa complessiva strutturazione del procedimento referendario, caratterizzato da precise scansioni temporali, e nella conseguente esigenza che pure la fase del controllo di ammissibilità si mantenga in stretta connessione cronologica con le fasi che la precedono e le fasi che la seguono, restando contenuta entro rigorosi limiti di tempo, che rischierebbero di venire superati per effetto di un diffuso e indiscriminato accesso di soggetti, i quali potrebbero poi chiedere di esporre anche oralmente le proprie ragioni".

Il giorno della deliberazione è comunicato ai delegati o presentatori e al Presidente del Consiglio dei ministri.
Entro tre giorni prima della deliberazione i delegati o i presentatori e il Governo possono depositare alla Corte memorie sulla legittimità costituzionale del referendum. La Corte deve decidere con sentenza da pubblicarsi entro il 10 febbraio, indicando le richieste ammesse e quelle respinte.
Della sentenza è data d'ufficio comunicazione al presidente della Repubblica, ai presidente delle Camere, al presidente del consiglio dei ministri, all'Ufficio centrale per il referendum e ai delegati e presentatori entro cinque giorni dalla pubblicazione della sentenza e il dispositivo della sentenza è pubblicato nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica italiana.

La Corte costituzionale, infine, è competente a giudicare del Presidente della Repubblica per i reati funzionali di alto tradimento e di attentato alla Costituzione (rimanendo la competenza dell'autorità giudiziaria ordinaria per i reati comuni, e l'irresponsabilità presidenziale – cui si affianca un obbligo morale di dimissioni, posto che, a norma dell'art. 54 secondo comma «i cittadini cui sono affidate funzioni pubbliche hanno il dovere di adempierle con disciplina ed onore» – per i restanti reati commessi nell'esercizio delle sue funzioni).
In tale ipotesi, il Presidente della Repubblica è messo in stato di accusa dal Parlamento in seduta comune (richiedendosi la maggioranza assoluta dei membri), e giudicato dalla Corte costituzionale, integrata nella sua composizione da 16 membri estratti a sorte da un elenco di 45 eletti dal Parlamento ogni 9 anni fra i cittadini aventi i requisiti per l'eleggibilità a senatore.
Si ricorda che, inizialmente, sino alla riforma intervenuta con la legge cost. 1 del 1989, la Corte era competente anche per i reati ministeriali.
Oggi tale funzione, pur con procedure particolari, è assolta dalla giustizia ordinaria.
La pena inflitta non può superare la pena massima prevista per legge al momento della sentenza. L'esecuzione della sentenza è affidata alla Corte d'Assise d'Appello di Roma.