EVIS

 

Esercito Volontario per l'Indipendenza Siciliana

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creato da Antonio Canepa (conosciuto con lo pseudonimo Mario Turri), che ne fu il primo comandante, ebbe vita nell'aprile del 1944 come vera e propria formazione armata indipendentista.

Ma fu costituito nel febbraio 1945 a Catania, su impulso dello stesso Antonio Canepa, come gruppo di lotta armata, ma anche primo nucleo di quello che sarebbe dovuto diventare l'esercito regolare della Repubblica Siciliana, in risposta alle continue violenze che venivano perpetrate dalle forze dell'ordine italiane sul territorio Siciliano.

Esso si prefiggeva da un lato il sabotaggio del governo italiano con azioni di guerriglia, dall’altro di imprimere al processo indipendentista siciliano una soluzione repubblicana. Alla sua costituzione, l'EVIS non verrà pubblicamente riconosciuto dal MIS, e osteggiato da alcuni suoi dirigenti.

Organizzato in gruppi, fu inizialmente formato da circa cinquanta giovani, si riuniva ed operava in clandestinità.  Il modello applicato era quello di un esercito di liberazione, ma Canepa, improvvisato militare, non ne ebbe il tempo perché morì un paio di mesi dopo.

 

Con l'uccisione di Antonio Canepa, avvenuta in contrada Murazzu Ruttu vicino Randazzo (CT) insieme ad altri due militanti in un agguato  perpetrato dai carabinieri il 17 giugno del 1945.

 

Dopo la morte di Mario Turri,  prese il comando Attilio Castrogiovanni e dopo il suo arresto, Fu Concetto Gallo ( con il pseudonimo di secondo turri o turri II) a prendere il comando. nell'agosto 1945 entrò a far parte dell’EVIS Salvatore Giuliano, che fu nominato tenente colonnello .Il 29 dicembre 1945 nelle montagne intorno Caltagirone (CT) ci fu l'ultimo scontro a fuoco tra circa 60 militanti evisti e i reali carabinieri, insieme a militari della divisione Sabauda, che provocò due morti, tra cui un carabiniere.

Nel maggio del 1946, quando venne concesso lo Statuto Siciliano, le formazioni eviste furono sciolte e gli evisti in carcere furono amnistiati e liberati.

Giuliano invece fu denunciato dall’allora maresciallo dei carabinieri di Montelepre Giuseppe Calandra per reati comuni, quindi rifiutò di deporre le armi e continuò con i suoi uomini la lotta contro lo stato italiano,visto che era stato tradito dai politici siciliani che non avevano rispettato alcuni accordi presi per il bene del Popolo Siciliano, cosa  che lo avrebbe portato al suo assassinio.

Dal punto di vista politico l’esercito indipendentista aveva un ruolo importantissimo e rientrava in una strategia di ampio respiro. Teneva conto, innanzitutto, della Convenzione dell’AIA del 1907, come sarebbe stato meglio spiegato nel n. 14 di “Sicilia Indipendente”, (qualche mese dopo l’uccisione di Canepa), nell’articolo a firma di Demetrio D’Ambra, che portava il titolo: “L’Evis nel Diritto Internazionale”, ed il sottotitolo: “Il testo della Convenzione dell’AIA – La Sovranità del Popolo Siciliano – La legittimità della lotta”. Nell’articolo si sosteneva che l’Evis possedesse tutti i requisiti della Convenzione, ai fini di godere della Legislazione e delle prerogative previste per gli eserciti regolari in tempo di guerra. La Convenzione prevedeva, infatti, che la milizia o il corpo interessato si trovassero nella seguente condizioni: avere al loro comando una persona “responsabile” per i subordinati; possedere un segno distintivo fisso e riconoscibile a distanza; portare apertamente le armi; conformarsi alle leggi ed agli usi di guerra. A ciò si aggiungeva che il campo dell’Evis aveva una grande visibilità ed una segnaletica che ne indicava l’ubicazione.

L’avv. Michele Papa, che nel campo di Cesarò, da giovane fece la propria militanza di volontario, nella sua “Storia dell’Evis” avanza una ipotesi originale diversa ma non in contrasto con la tesi di Demetrio D’Ambra. Sostiene che ogni campo dell’Evis avrebbe dovuto indurre il Governo Italiano a tollerare una presenza armata del Separatismo in attesa di una soluzione politico-militare.

Si era, quindi, di fronte ad un caso di “Low Intensity Warfare”, ossia di guerra a bassa intensità. Un qualcosa di simile a quello che avviene oggi in alcuni Paesi Sud-Americani, nei quali i Governi tollerano, talvolta per lunghissimi periodi, l’occupazione armata di talune zone nelle quali i “rivoluzionari” operano, quasi, incontrastati.

 

58 giovani eroi dell’ Evis contro 3.000 soldati italiani
La battaglia del 29 dicembre 1945

 

Il cippo di Monte San Mauro in ricordo della battaglia dell’Evis

Era il 29 dicembre del 1945. A Caltagirone, in località Monte San Mauro, si svolse l’epica battaglia che coinvolse 58 giovani dell’Evis (Esercito Volontario per l’Indipendenza della Sicilia) guidati da Concetto Gallo e le truppe dell’esercito del Regno d’Italia, circa 3.000 uomini, comandate dal generale Fiumara dotate di mezzi e di armi pesanti. Fu un evento che ebbe riconoscimento politico anche in campo internazionale.

La battaglia si protrasse dalle 9 e 30 del mattino al tardo pomeriggio e si concluse dopo che Concetto Gallo aveva fatto defilare tutti i suoi uomini attraverso sentieri inaccessibili con lo scopo di restare solo ad affrontare, con il suo suicidio, la resa finale. Contravvenendo agli ordini dello stesso Gallo, due giovani “evisti”, Giuseppe La Mela e Amedeo Bonì, restarono al fianco del loro comandante fino alla fine, rappresentata dalla cattura. Mentre il suicidio, tentato, non era riuscito.

Il giovane palermitano Raffaele Di Liberto fu tra i feriti più gravi dell’ Evis e avrebbe perso la vita dopo un lungo e vano peregrinaggio da un posto all’altro in cerca di soccorso. A prescindere dal valore e dal coraggio dimostrato dai combattenti siciliani, quella battaglia, dal punto di vista prettamente militare, segnò certamente una sconfitta per l’Evis. Dal punto di vista politico e storico fu, invece, una grande vittoria anche per la risonanza e il riconoscimento riscossi in campo internazionale.

La guerriglia, comunque, continuò. Al punto tale da indurre il governo italiano ad aprire una trattativa con i dirigenti del Separatismo Siciliano, fra i quali Antonino Varvaro e Andrea Finocchiaro Aprile che, con Francesco Restuccia, erano stati internati nell’isola di Ponza.

Da quei fatti, tragici ma esaltanti, si passò a un “pactum”, non troppo segreto ma significativo nel quale, fra i rappresentanti del separatismo armato e i rappresentanti del governo italiano, furono tracciati i contenuti e le peculiarità di quello Statuto Siciliano che sarebbe stato redatto per le vie istituzionali e che sarebbe stato, successivamente, legittimato formalmente con specifico decreto legislativo, sottoscritto dal Re d’Italia Umberto II e da tutti i componenti del governo italiano in data 15 maggio 1946.

Nel ricordare quell’evento, gli Indipendentisti Siciliani devono rendere omaggio al valore dei combattenti siciliani e cogliere l’occasione per denunziare la mancata applicazione integrale dello Statuto, lo svuotamento machiavellico dello stesso Statuto, la vanificazione concreta della specialità che lo caratterizza, nonché il tradimento unilaterale del “pactum”, in forza del quale era stata abbandonata, da parte separatista, la lotta armata per l’indipendenza della Sicilia. Denunciare, altresì, l’asservimento della Sicilia agli interessi del Nord-Italia. Un asservimento ininterrotto dal 1860.

Nel ricordare quell’evento, gli Indipendentisti Siciliani devono stigmatizzare l’ascarismo, la corruzione e l’antisicilianismo della quasi totalità dei partiti e degli uomini che hanno governato la Sicilia da quel 15 maggio 1946 fino a oggi. E, infine, devono indignarsi per come la Sicilia sia ancora oggi, di fatto, una colonia interna dello Stato Italiano, con l’aggravante delle trame in corso miranti allo smembramento in due o tre regionicchie della stessa Sicilia.