Alta Corte Siciliana

Alta Corte Siciliana

Organo Giuridico Costituzionale

 

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 ART. 24 dello Statuto Siciliano

 

E istituita in Roma un’Alta Corte con sei membri e due supplementi, oltre il Presidente ed il Procuratore Generale, nominati in pari numero dall’Assemblea Legislativa dello stato e della Regione Siciliana, scelti tra persone di speciale competenza in materia Giuridica.

Il Presidente e il Procuratore Generale sono nominati dalla stessa Alta Corte.

L’onere finanziario riguardante l’Alta Corte e ripartito equamente tra lo Stato italiano e lo Stato Siciliano.

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L’Alta Corte è un organo di natura Costituzionale prevista dallo Statuto Siciliano, istituita con il Regio Decreto Legislativo del 15 maggio 1946 n° 455.

Le sue attribuzioni consistevano nel controllo di legittimità costituzionale delle leggi approvate dall’Assemblea Generale del Parlamento Siciliano, nel controllo di compatibilità delle leggi e dei regolamenti dello Stato in rispetto dello Statuto Siciliano e alla loro efficacia nel territorio Siciliano, non che legittimata nel Giudizio Penale nei confronti del Presidente e dei Ministri del Governo Siciliano, per i reati compiuti nell’esercizio delle loro funzioni Istituzionali e Governative, come disposto dall’ART 25-26 dello Statuto Siciliano.

L’Alta Corte era composta da otto Giudici;

-          Presidente

-          Procuratore generale

-          Tre membri eletti dal Governo Italiano

-          Tre membri eletti dal Governo Siciliano

-          Più due Supplementi

L’Alta corte è stata abolita illegalmente dallo Stato Italiano nel 1957.

Ma non con una Revisione costituzionale o con il consenso e l’approvazione della Sovranità del popolo Siciliano, o con Decreto Legge emanato dall’Assemblea Generale del Parlamento Siciliano, di cui i Parlamentari già erano stati delegittimati da una legge elettorale in cui non si potevano utilizzare i resti provinciali in sede Regionale, buttando fuori gli Indipendentisti Siciliani già nel 1951.

L’Alta Corte Siciliana, fu abolita con un normale è semplice comunicato Stampa, dopo una Consulta ordinaria del Consiglio dei Ministri dell’allora Governo Italiano, che deliberò le seguenti Sentenze;

-          La n° 38 del 1957 e successivamente la n° 6 del 1970.

Dall’abolizione dell’Alta Corte Siciliana le sue competenze vennero affidate alla Corte Costituzionale Italiana, con il risultato di delegittimare quel poco di Autonomia rimasta dallo Statuto Siciliano riscritto in loco nel dibattito dell’Assemblea Costituzionale del 30-31 gennaio del 1948, votato a maggioranza e tradito dal 90% dei deputati Siciliani presenti, cosi integrato nella nascente Costituzione Italiana.

Delegittimando anche il Parlamento Siciliano, visto che dall’abolizione dell’Alta Corte,tutti i Decreti legge approvate dallo stesso Parlamento, erano rimesse al consenso inderogabile del Commissario di Stato Italiano per la Sicilia, annullando di fatto la sovranità legifera del Parlamento e dello Statuto Siciliano.

Per l’ennesima volta la Sicilia fu declassata a colonia dello Stato Italiano.

Cosa al quanto inaccettabile visto il sacrificio e il sangue versato dai nostri padri e patrioti indipendentisti Siciliani  che dal 1944 avevano lottato per acquisire quello Statuto che avrebbe portato la Sicilia Giuridicamente uno Stato Autonomo federato allo stato Italiano.

Con la Sentenza della corte Costituzionale Italiana n° 255 del 2014, che abolisce il Commissario di Stato Italiano per la Sicilia, la competenze e il controllo con giudizio inderogabile, delle leggi approvate dell’Assemblea Generale del Parlamento Siciliano, vengono rimesse direttamente al Consiglio dei Ministri del Governo Italiano,come nelle modalità di qualsiasi altro consiglio regionale delle altre regioni dello Stato Italiano, con il risultato che la Sicilia che per quel poco che era rimasto era una Regione a Statuto Speciale, ora non è altro che una Regione a pari di tutte le altre.

 

SEDUTA ANTIMERIDIANA DI GIOVEDI’ 19 DICEMBRE 1957

INTERVENTI DELL'ON. DANTE E DELL'ON. ALDISIO SULL'ALTA CORTE
Atti parlamentari – Camera dei Deputati

 

Presidenza del Vicepresidente D’Onofrio
 

Seguito della discussione delle proposte di legge costituzionale Aldisio e Li Causi.
 

PRESIDENTE. L’ordine del giorno reca il seguito della discussione delle proposte di legge costituzionale Aldisio e Li Causi per la istituzione di una sezione speciale della Corte costituzionale.
 

E’iscritto a parlare l’onorevole Dante. Ne ha facoltà.
 

DANTE. Signor Presidente, onorevoli colleghi, come ex deputato della assemblea regionale siciliana mi sento direttamente impegnato in questo dibattito, perché in quella sede, all’atto dell’insediamento, ho giurato come tutti gli altri deputati che avrei difeso lo statuto della regione siciliana. Ritengo che quel giuramento, reso nel febbraio del 1948, mi impegni al di là del mandato e mi faccia obbligo, oggi, di intervenire per dire la mia modesta, ma appassionata parola in difesa della integrità, non soltanto formale, dello statuto della regione siciliana.
Oggi, come deputato siciliano al Parlamento nazionale, ho un altro dovere: quello di segnalare con senso di responsabilità davanti al paese il grave disagio, per non dire il malcontento, di larghi strati della popolazione siciliana che nella soppressione dell’Alta Corte siciliana vedrebbe un tentativo di affossamento della nostra autonomia.
Io so che così non è, che così non può essere e non sarà: non può e non deve essere turbata l’atmosfera di fiducia faticosamente raggiunta fra Stato e regione; né turbato può essere il ritmo di alacre rinascita che si coglie nelle concrete conquiste della autonomia siciliana.
Mi rifiuto di credere che vi sia un solo italiano, con l’animo sgombro di visioni personalistiche o da ipocrisie campanilistiche, che non apprezzi lo sforzo ciclopico della Sicilia per porsi al livello delle altre regioni; che vi sia un solo italiano, che conosca le nostre vicende, che possa affermare che la Sicilia abbia abusato dell’autogoverno. Undici deputati separatisti mandò la Sicilia nel 1947 alla sala d’Ercole, dopo aver mandato a Montecitorio una agguerrita pattuglia di deputati che provenivano tutti dal confino di polizia o dal carcere, l’una e l’altra misura sofferte perché l’amore verso la Sicilia era divenuto esasperazione. Oggi il separatismo è tramontato (lo ricordo a onore della mia Sicilia ed anche a buona memoria di qualche collega di altra regione) e ciò dimostra che l’autogoverno ha operato nel solco fecondo della concordia, essendo proprio vero che l’autogoverno opera con successo solo se inquadrato nell’opera di rinsaldamento della unità della patria.
La regione siciliana ha votato le leggi di rinnovamento delle sue strutture: ha la sua legge di’ riforma agraria; quella di riorganizzazione delle amministrazioni locali (la sua legge comunale e provinciale); ha la sua legge sulla industrializzazione e quella per la ricerca e la coltivazione degli idrocarburi. Basterebbe solo quest’ultima legge, con i suoi fecondi risultati, per giustificare l’atto di fiducia dello Stato verso la Sicilia, per giustificare tutta la autonomia siciliana. E’ stata questa legge, con i conseguenti ritrovamenti di idrocarburi, a porre il problema petrolifero italiano davanti alla coscienza di tutto il paese. Queste leggi, lungi dal minare l’unità politica dello Stato sovrano, l’hanno invece ulteriormente rinsaldata. La pacificazione, conseguente all’atto di fiducia dello Stato che dava alla regione siciliana l’autogoverno, è stata completa. Sotto questo aspetto ritengo di avere maggiori titoli (il Parlamento voglia perdonare questo atto di superbia, che vuole essere un riconoscimento della fedeltà della mia terra) di altri onorevoli colleghi di altre regioni, e posso sufficientemente spiegarmi le apprensioni dell’onorevole Facchin circa i pericoli che egli intravede nella duplicità della giurisdizione costituzionale per l’unità politica nazionale; egli parla, infatti, in base alla quotidiana dolorosa esperienza della sua regione. Ma è arbitrario generalizzare.
Dopo queste premesse, passo brevemente all’esame della questione. Mi rendo conto della delicatezza dell’argomento, così come mi rendo conto che lo stato patologico dell’attuale situazione va ricollegato, almeno in massima parte, a quella naturale azione di assestamento del diritto conseguente alle rivoluzioni dei popoli. Non voglio fare il difensore di ufficio di nessuno, ma non può essere negato che l’Italia dal 1943 al 1948 ha vissuto la sua, relativamente pacifica, rivoluzione, nella quale maturò la Costituzione repubbIicana con le sue profonde innovazioni di strutture politiche e di strutture sociali. Di queste profonde innovazioni fa parte la giurisdizione costituzionale.
AI riguardo non pub essere contestato da alcuno che il costituente non una, ma due Corti costituzionali ha creato; e se ne ha create due, vuo1 dire che ne ha volute due. Infatti le due Corti ubbidiscono a esigenze diverse, hanno struttura diversa e funzione diversa. La Corte costituzionale infatti è organo di mera garanzia costituzionale (vedi titolo V1 della nostra Costituzione), mentre l’Alta Corte siciliana è un’assemblea che risponde a forme e condizioni particolari di autonomia (vedi titolo V, articolo 116 della nostra Costituzione).
La Costituzione ha istituito per le leggi dello Stato un sindacato di costituzionalità successivo alla promulgazione delle leggi; per le leggi della regione è previsto invece un sindacato preventivo, che si esplica in forme ed entro limiti diversi da quelli stabiliti dallo statuto speciale della regione siciliana per le leggi emanate da quella assemblea.
Tra l’Alta Corte e la Corte costituzionale vi è, come è stato ricordato, una diversità di competenze, poiché l’organo della regione siciliana, oltre a sindacare la legittimità delle leggi dello Stato rispetto allo statuto siciliano, ha anche la giurisdizione penale, perché giudica il presidente della regione e gli assessori regionali per i reati commessi nell’esercizio delle loro funzioni. Lo statuto della regione siciliana circonda il presidente della regione e gli assessori di una speciale giurisdizione, non solo rispetto all’organo giudicante, ma rispetto anche al titolare della azione penale, che è il commissario dello Stato.
Com’è possibile sostenere che un corpo di amministratori così qualificato com’è la giunta del governo regionale siciliano possa essere spogliato di una prerogativa costituzionale così importante, così impegnativa ?
Che cosa autorizza a pensare che sia stata soppressa una giurisdizione che il costituente voIle per sottrarre gli amministratori dall’insidia della persecuzione faziosa ? Ritengo che sia estremamente pericolosa la via che stiamo percorrendo. Estremamente pericoloso è infatti sostenere che possa considerarsi, sic et simpliciter, abrogato un dettato costituzionale che sancisce garanzie giurisdizionali.
Si può sostenere che non vi è bisogno di alcuna garanzia (infatti l’Alta Corte costituzionale non è stata mai investita dell’esame di denunzie), ma non è la stessa cosa sostenere che quella garanzia non esiste più.
Del resto la tesi dell’abrogazione dell’Alta Corte costituzionale per la Sicilia non ha mai avuto sostenitori decisi, così come è stato dimostrato da tutti gli oratori che mi hanno preceduto.
Voglio, al riguardo, leggere quanto scrivono i trattatisti più autorevoli, anzi – ritengo - tutti coloro i quali si sono interessati di questo argomento.
Camillo Ausiello Orlando, nel suo volume “ Il sindacato di legittimità costituzionale delle leggi e l’ordinamento della regione siciliana “) (Palermo, 1956) scrive a pagina 8: “ da escludere che la entrata in funzione del nuovo organo possa produrre di per se l’effetto di privare l’organo esistente delle sue attribuzioni e funzioni” , Ed aggiunge, a pagina 11: “ Sembra erroneo, perciò, pensare che la soluzione dei problemi costituzionali creati dall’entrata in funzione della Corte costituzionale nei rapporti dell’ordinamento regionale siciliano possano essere risolti in termini di semplice sostituzione del nuovo all’antico organo decidente, poiché la diversa composizione e formazione di tale organo nell’ordinamento generale e in quello particolare è soltanto uno degli aspetti di una più generale diversità che si riscontra nel modo di regolamento dato nei due ordinamenti ai rapporti Stato-regione per quanto riguarda l’esercizio della potestà legislativa”.
Dal canto suo, Paolo Biscaretti di Ruffa (« Diritto costituzionale », 1954, pagina 445) così si esprime: “Sembra, per altro, difficile desumere l’automatica abrogazione dello istituto dalla settima disposizione transitoria della Costituzione ecc., perciò non resta che auspicare la sollecita approvazione di una legge costituzionale che risponda esaurientemente al riguardo” ) ossia in merito al conflitto tra Corte costituzionale e Alta Corte costituzionale per la Sicilia.
Carlo Bozzi, (“Corte costituzionale e Alta Corte per la Sicilia” in “Il diritto pubblico della regione siciliana”, parte I, pagina 50) scrive: “Sembra, quindi, che debba fin da ora escludersi, proprio per insofferenza della materia una assimilazione automatica della Corte siciliana nella Corte costituzionale”.
E, ancora, ecco quanto dice l’autorevole costituzionalista Ferruccio Pergolesi (“Diritto costituzionale” - Zuffi, Bologna, 1949, pagina 265): “Non può però sostenersi che, per sé, l’entrata in funzione della corte nazionale abroghi implicitamente (articolo 15 delle preleggi) la legislazione della corte locale. Anzitutto si potrebbe osservare che, se così fosse, l’abrogazione si sarebbe operata sin dal 10 gennaio 1948 con l’entrata in vigore della carta, se pur con effetto protratto nel tempo (articolo VIII); ma tale interpretazione sarebbe in contrasto con la successiva legge costituzionale del 26 febbraio 1948, n. 2, che ha approvato come legge costituzionale lo statuto siciliano nella sua integrità, comprese quindi le norme sull’Alta Corte. Occorre quindi una legge implicita di sospensione, tanto più che tra le due corti non v’è nemmeno identità completa di materia”.
Sostanzialmente su questa linea è anche Michele Petrucci (“La Corte costituzionale “ in “Commentario sistematico alla Costituzione italiana” , Barbera, Firenze, 1950, volume I, pagina 459, in nota) quando osserva: “È: discutibile se per la soppressione dell’Alta Corte sia necessaria anche una deliberazione della Assemblea regionale della Sicilia. Il problema presenta aspetti politici che non possono essere ignorati”.
A proposito di “Alta Corte e pareteticità” Giovanni Salemi scrive dal canto suo: “La garanzia dell’autonomia siciliana è data dal modo di costituzione dell’Alta Corte. Una Corte alla cui formazione la regione non potesse partecipare verrebbe a ferire la regione nel suo potere più delicato ed essenziale; la sua autonomia resterebbe senza una garanzia.
Non è questione formale, consistente solo in un potere di nomina, ma questione anche sostanziale”.
Ed ancora Mario Sandulli (“Sulla discriminazione delle competenze tra Corte costituzionale e Alta Corte della regione siciliana”):”La Costituzione e l’entrata in funzione della Corte costituzionale - giurisdizione costituzionale ordinaria - suscita il delicato problema della discriminazione delle attribuzioni di essa in relazione a quelle dell’Alta Corte per la regione siciliana - giurisdizione costituzionale speciale.
Naturalmente col porre il problema si presuppone risolta in senso positivo la questione della compatibilità dell’Alta Corte con la Corte costituzionale”.
Infine ricordo Pietro Virga (“La Regione”, - Giuffrè, Milano, 1949, pagina 189): “Tuttavia l’abolizione dell’Alta Corte, essendo stata quest’ultima istituita con una legge costituzionale, quale è indubbiamente lo statuto siciliano, non potrà avvenire se non con l’impiego del procedimento di revisione costituzionale”.
Dello stesso avviso ritengo (parlo di loro come giuristi) siano gli onorevoli Leone, Lucifredi e Tesauro per avere espresso in questo senso il loro parere alla Camera all’atto della discussione del disegno di legge (se non erro) dell’onorevole Caronia.
L’Alta Corte siciliana, quindi, anche se non è funzionante, è viva e vitale: lo ha riconosciuto ufficialmente il Parlamento nella seduta comune del 29 luglio 1954 quando ha eletto due giudici.
Scartata, così, la tesi della cessazione automatica dell’Alta Corte siciliana per effetto di incompatibilità obiettiva tra le norme dello statuto speciale relative a detto organo e quelle generali della Costituzione, istitutive della Corte costituzionale, resta da esaminare soltanto: se effettivamente vi sia incompatibilità delle due corti, fino al punto da ritenere necessaria la soppressione dell’Alta Corte siciliana, mediante, sempre, una legge costituzionale; ovvero se sia possibile un coordinamento dei due istituti mediante legge costituzionale che inserisca la Corte costituzionale per la regione siciliana in quella nazionale.
Tra la soppressione e il coordinamento, sempre con legge costituzionale, è la sola scelta che deve fare il Parlamento. Qui avrei il dovere di esaminare più da vicino le ragioni che militano a favore della proposta di legge Aldisio che porta anche la mia firma. Ma dovrei ripetere quello che altri prima di me ha detto in difesa della necessità di questo coordinamento che è suggerito: dalla diversità di giurisdizione, dalla pariteticità della composizione, dalla diversa natura del sindacato, dalla diversa titolarità dell’impugnativa, dalla diversità dei termini per l’esercizio dell’impugnativa.
Mi dispenso dall’illustrare ulteriormente questi aspetti del problema perché dopo di me, con maggiore autorevolezza, prenderà la parola il primo firmatario della legge onorevole Aldisio, che conobbe, visse e forse sta espiando il dramma della nostra regione.
La soluzione non può essere ulteriormente protratta. In una materia così delicata che concerne questioni che incidono profondamente sulla stabilità e sulla coerenza del sistema, il legislatore non si può sottrarre alla responsabilità di dettare una soluzione che sia chiara e che salvaguardi soprattutto la certezza del diritto.
A coloro che si preoccupano della unità della giurisdizione costituzionale – sufficientemente garantita dalla proposta di legge AIdisio - rispondiamo con un’altra preoccupazione: che non possono, non debbono essere lesi i principi fondamentali posti a presidio dell’autonomia siciliana e che sono gia patrimonio nel nostro ordinamento costituzionale.
Una loro modifica verrebbe ad alterare i rapporti di equilibrio tra Stato e regione, così faticosamente raggiunti.
La Sicilia, per la sua tradizione di patriottismo, per la serietà con la quale ha saputo lavorare nel solco dell’autonomia, per i felici risultati conseguiti - premessa e promessa per ulteriori conquiste - ha dato una prova solenne di aver meritato la fiducia del paese con il potere legislativo delegato all’Assemblea regionale siciliana. Questo potere deve continuare ad avere il suo presidio nell’Alta Corte per la Sicilia. Ho fede che il Parlamento conforterà con il suo voto quella che è una legittima aspirazione della mia regione. (Applausi al centro).

 

PRESIDENTE. È: iscritto a parlare l’onorevole Aldisio. Ne ha facoltà.
 

ALDISIO. Signor Presidente, onorevoli colleghi, l’Alta Corte di Sicilia, come è stato già ripetuto nel corso di questa discussione, ebbe fissata la sua struttura e la sua funzione in sette articoli consecutivi, dal 24 al 30, dello statuto siciliano: statuto promulgato col regio decreto del 14 maggio 1046 e inserito nella nostra Costituzione con la legge costituzionale del 26 febbraio 1948.
Quando, nel febbraio del 1949, fu esaminato al Senato il disegno di legge ordinario, portante il titolo: “Norme sulla costituzione e sul funzionamento della Corte costituzionale” e si pretendeva, da parte dei ministri proponenti del tempo, che all’entrata in funzione della Corte costituzionale si sarebbe avverata la condizione per l’abrogazione obiettiva o tacita dell’Alta Corte di Sicilia, sorse immediata opposizione da parte di eminenti cultori delle discipline giuridiche e di costituzionalisti insigni, i quali, in concordanza con l’asserto dell’Assemblea regionale siciliana, sostennero l’infondatezza dell’avverarsi dell’abrogazione tacita, essendo l’Alta Corte un organo costituzionale previsto e inserito nello statuto siciliano, entrato a far parte integrante della Costituzione con la ricordata legge 26 febbraio 1948.
Per operare la soppressione, oppure modificarne la struttura e le funzioni, come è stato ripetutamente affermato, in ogni caso occorreva ed occorre una legge di natura costituzionale, con l’iter e le garanzie che essa comporta.
Dopo un interessantissimo dibattito, in Senato, al quale prese parte, tra gli altri, il non dimenticato maestro Vittorio Emanuele Orlando, su proposta dei senatori Azara e Aldisio, fu votato alla quasi unanimità il seguente ordine del giorno: “ Il Senato, considerato che la questione dell’Alta Corte di Sicilia deve essere risolta, nel quadro della Costituzione. con legge costituzionale che detti opportune norme di attuazione, invita il Governo a presentare prontamente al Parlamento il disegno di legge costituzionale indicato”.
Da quel momento la tesi della soppressione tacita dell’Alta Corte di Sicilia, per l’intervento e la decisione di una assemblea legislativa, era dichiarata fallace e inaccoglibile e di qui l’iniziativa dell’onorevole Leone e di altri deputati, nella passata legislatura, di presentare al!a Camera il disegno costituzionale per “la integrazione delle norme della Costituzione inerenti alla Corte costituzionale”, disegno di legge che, composto di un unico articolo, chiedeva la soppressione dell’Alta Corte di Sicilia. Venuta la discussione del provvedimento alla Camera, l’onorevole Caronia ed altri deputati proposero un emendamento con il quale si richiedeva che la competenza riservata dallo statuto della regione siciliana all’Alta Corte, fosse devoluta ad una speciale sezione della Corte costituzionale.
E il Presidente della Camera, in omaggio al disposto statutario che l’assemblea regionale in caso di revisione del suo statuto deve essere interpellata e chiamata a partecipare al processo formativo della legge di revisione, provvide ad interpellare l’assemblea stessa che, nel dicembre del 1952, superando legittimi stati d’animo, ad unanimità approvò un ordine del giorno col quale faceva propria la richiesta contenuta nell’emendamento Caronia, sottoscritto da gran parte dei deputati siciliani.
Il progetto però decadde per lo scioglimento delle Camere. Intanto il 20 maggio 1957, in occasione di un ricorso all’Alta Corte avverso ad una legge approvata dall’assemblea regionale, l’Avvocatura dello Stato sollevò l‘eccezione di incompetenza dell’Alta Corte a giudicare sulla costituzionalità delle leggi siciliane e delle leggi statali riguardanti lo statuto di Sicilia, in quanto, a suo dire, la materia era stata assorbita dalla Corte costituzionale “per abrogazione obiettiva e tacita” in virtù della sentenza n. 38 del 9 marzo 1957. Successivamente il 28 giugno di quest’anno il Commissario dello Stato che, come ognuno sa, è “un organo a sé, indipendente, svincolato da qualsiasi subordinazione gerarchica”, riceveva un telegramma a firma del Presidente del Consiglio, con il quale, nel dichiarare illegittima la legge siciliana sui provvedimenti contro l’imposta generale sull’entrata e ricordando l’eccezione di incompetenza già sollevata dall’Avvocatura dello Stato in seguito all’iniziato funzionamento della Corte costituzionale, l’avvertiva che non riteneva opportuno promuovere dinanzi all’Alta Corte giudizio relativamente alla legge; naturalmente con salvezza di altre eventuali iniziative. Per completare il quadro credo non sia inutile ricordare che in data 26 aprile 1956, i giudici Bracci e Perassi, sebbene membri dell’Alta Corte siciliana, erano stati eletti dal Parlamento quali giudici della Corte Costituzionale e venivano dalla stessa autorizzati a continuare ad esercitare la funzione anche presso l’Alta Corte in attesa del regolamento dei rapporti tra le due Corti medesime.
E il Capo dello Stato, in un messaggio rivolto ai Presidenti delle due Camere già convocate per l’elezione dei giudici mancanti all’Alta Corte, nel consigliare il rinvio di tale elezione, concludeva sollecitando la soluzione del delicatissimo caso in sede legislativa, coll’esame di proposte di legge che si trovavano, come quella che stiamo discutendo, già dinanzi alla Camera.
Onorevoli colleghi, malgrado l’amore che porto ad un istituto per il quale ho dato e darò sempre il meglio delle mie energie e l’entusiasmo di tutti i miei anni, non mi sono, credetemi, lasciato prendere la mano dalla passione, non essendomi mai nascosto, e in ogni momento e specialmente prima dell’entrata in funzione della stessa Alta Corte, la delicatezza che il caso importava. Non me la sono nascosta da presidente della Consulta siciliana, alla quale partecipò il fiore dell’intelligenza di Sicilia, quando si discussero nel tardo autunno del 1945, con lo statuto, i sette articoli nei quali è incardinata l’Alta Corte; non me la sono nascosta, ancora più responsabilmente, al Senato quando si venne alla discussione della legge per l’istituzione della Corte costituzionale e quando pregai l‘amico Azara di firmare con me l’ordine del giorno con il quale, “a garanzia della natura costituzionale dello statuto siciliano”, chiedemmo - e fu ottenuto - che in ogni caso l’iter per eventuali modifiche o revisioni non avrebbe potuto mai essere che quello fissato con legge costituzionale.
Conscio di tanta delicatezza e compreso della responsabilità che sento dinanzi all’avvenire e che spero sia condivisa da molti altri onorevoli colleghi, non ho sorriso, come ha fatto qualcuno, alla lettura della troppo sintetica relazione dell’onorevole Codacci Pisanelli, dalle cautelose, studiate, sfuggenti espressioni, attraverso le quali tuttavia non ha egli potuto non ammettere, e devo dargliene atto, che l’Alta Corte non solo non è morta ma vive ancora e, aggiungo io, dovrà sopravvivere per il bene di tutti.
Comprendo anche il contegno della Commissione speciale e lo rispetto. Essa per una evidente regola di correttezza costituzionale - cito le parole del relatore - ha ritenuto in ogni modo di non dover fare contestazioni in relazione a quanto accertato dalla Corte costituzionale con la sentenza n. 38 del 9 marzo 1957.
Di tutto mi rendo conto, onorevoli colleghi. Mi rendo conto perfino del disposto della sentenza n. 38, della quale però non condivido molti degli argomenti né le conclusioni.
Si sa: il giudice è stato sempre, e lo sarà, giudice della sua competenza. Con un piano che non è sfuggito agli osservatori anche meno attenti - e subito qualificato un piccolo ma abile colpo di mano - la Corte costituzionale venne posta nella condizione di pronunciarsi “prima essa” sulle sue competenze e, come era da attendersi, “rivendicò per sé i compiti e le funzioni” assegnate dallo statuto siciliano all’Alta Corte. Come vedete, il giudice è stato ancora giudice della sua competenza.
Ma questa sentenza poteva autorizzare l’Avvocatura dello Stato prima ed il Presidente del Consiglio poi a tentare di svuotare, di annullare, di sopprimere ipso facto un organo costituzionale vivo ed operante ancora? E tutto ciò, badate, mentre era dinanzi a1 Parlamento una proposta di legge costituzionale per la quale erano già state esperite tutte le procedure previste; proposta che ripete la sua origine da un ordine del giorno del Senato dove, in seguito ad una dotta ed interessante discussione, era stato proclamato che l’Alta Corte, quale organo costituzionale, non può subire né modifiche, né manomissioni, né automatici assorbimenti, e ciò fino a quando non avranno provveduto i costituenti.
A questo proposito nego che possa avere fondamento l’opinione del Mortati, al quale per altro mi legano vincoli di profonda stima, quando egli sostiene che non possa avere alcun valore vincolante per l’interprete ogni manifestazione di opinione politica, come egli definisce la votazione dell’ordine del giorno Azara-Aldisio, non concretatasi in una deliberazione normativa.
In verità, nella fattispecie non può disconoscersi che il Senato, attraverso il suo citato ordine del giorno, nel riconoscere la natura costituzionale dell’Alta Corte e nel rigettare la tesi oggi posta di nuovo in essere dall’Avvocatura dello Stato, rinviò ogni decisione, sulla eventuale abrogazione tacita, alla legge costituzionale che noi oggi stiamo discutendo.
Ed allora, qual è la conseguenza logica della situazione ? La conseguenza è questa: l’Alta Corte è ancora viva. resta nel nostro ordinamento costituzionale e - lo ripeto - deve restarci: e ciò anche a giudizio di molti insigni pubblicisti.
Personalmente non ripeterò, a sostegno di questa tesi, gli argomenti che ho svolto nella relazione alla proposta di legge costituzionale che ho avuto l’onore di presentare alla Camera e che gli onorevoli colleghi hanno sott’occhio. Venerdì scorso l’onorevole Musotto li ha ampiamente ricordati, dimostrando la inconsistenza delle tesi di coloro i quali sostengono essere l’Alta Corte siciliana decaduta o con l’entrata in vigore della Costituzione o con l’inizio del funzionamento della Corte costituzionale.
Né è il caso di soffermarsi sulla labilità dell’assunto secondo il quale la legge del 26 febbraio 1948 non conferì carattere costituzionale all’Alta Corte, la quale, secondo questo assunto, dovrebbe ritenersi abbia avuto funzioni di organo temporaneo e transitorio, e lo stesso statuto siciliano dovrebbe ritenersi modificato fra l’entrata in vigore della Costituzione e la legge del 26 febbraio 1948 per la parte non compatibile con la Costituzione.
Ieri l’altro l’onorevole Gianquinto ha fatto un esame così completo, esauriente, obiettivo della posizione dell’Alta Corte e delle sue insopprimibili funzioni ch’io lo sottoscrivo pienamente e lo ringrazio anche, come un momento fa affermava lo stesso onorevole Dante, di avermi così sollevato dalla necessità di doverci ritornar su io stesso. Repetita non iuvant nel caso nostro, anche perché abbiamo scadenze fisse e desideriamo arrivare presto alla conclusione.
Approfitto, però, di questo tempo così ricuperato per poter contraddire le suggestioni diffuse da coloro che vanno insinuando di una pretesa più larga convergenza della dottrina corrente verso le tesi più decise che proclamano la soppressione dell’Alta Corte siciliana La verità, invece, è ben diversa, perché non è piccolo il numero, anzi è maggioranza quella di pubblicisti valenti che sostengono non essere stati né assorbiti né essere assorbibili i compiti e le funzioni dell’Alta Corte ed affermano non esservi incompatibilità tra le due Corti, non potersi procedere a modificazione alcuna senza un chiaro, preciso disposto del Parlamento in sede costituente.
Il professore Massimo Saverio Giannini, dell’università di Pisa, che della tesi dell’assorbimento resta deciso assertore, in uno studio recente pubblicato dalla Giurisprudenza cOstituzionale, ha scritto: “La sopravvivenza integrale delle competenze dell’Alta Corte è stata apertamente affermata con grande copia di argomenti e con notevole acume da molti autori”. Di questi autori io, per necessità di tempo, citerò solamente pochi, avvertendo che li ho scelti non tra i più decisi assertori della tesi della sopravvivenza integrale (che sono tra gli altri il Chiarelli, il Crisafulli, il Crosa, il Guarino, il Pierandrei, il nostro collega Tesauro, il Virga, i molti citati dall’onorevole Dante e tanti altri ancora), ma tra coloro che potrebbero apparire meno decisi, e ciò a dimostrazione del largo riconoscimento che la mia tesi raccoglie nel campo della dottrina.
Comincio da Antonio Sorrentino, la cui fama di studioso attento e coscienzioso è largamente nota anche in questa Camera.
Sorrentino è tra coloro che augurano la concentrazione, presso una sola giurisdizione, del controllo di tutte le attività legislative dello Stato e degli enti regionali. Ma, di fronte alla tesi della caducazione dell’Alta Corte, così vivamente sostenuta dall’onorevole Persico, decisamente dichiara che ne mancano i presupposti.
“Lo statuto siciliano - egli afferma - è successivo alla Costituzione, essendo stato approvato due mesi dopo l’entrata in vigore di essa” ed ebbe forma ed efficacia di legge costituzionale, a far tempo dalla data di approvazione. È difficile, nota il Sorrentino, riscontrare un’assoluta incompatibilità tra le due categorie di norme, che impedisca la contemporanea esistenza. È vero, aggiunge egli, che i due sistemi di controllo sulla costituzionalità delle leggi differiscono sensibilmente, ma ciò che esclude l’incompatibilità è il fatto che essi hanno due ambiti di applicazione diversi, “ed è del tutto normale nel mondo giuridico, conclude, che una disciplina generale coesista con una diversa disciplina di carattere speciale”.
A sua volta, il consigliere di stato Ignazio Scotto, in un apprezzatissimo studio, assai lodato dagli stessi oppositori, scrive: “A dire il vero, malgrado le contrarie autorevoli opinioni, il problema della sopravvivenza dell’Alta Corte può porsi solo in termini di opportunità politica, come problema de iure condendo, mentre come de iure condito non sembra possa revocarsi in dubbio la sopravvivenza dell’Alta Corte per l’entrata in funzione della Corte costituzionale. Basta infatti osservare - prosegue lo scrittore - che la competenza dell’Alta Corte non coincide con quella della Corte costituzionale: è più ristretta per ciò che attiene al sindacato di costituzionalità degli atti legislativi regionali e statali rispetto allo statuto siciliano e, ai fini dell’efficacia, difetta il presupposto oggettivo perché competenze attribuite all’Alta Corte possano essere ritenute assorbite dalla Corte costituzionale secondo la nota tesi del Calamandrei.
Non avendo la Corte costituzionale una competenza propria per il sindacato preventivo delle leggi regionali siciliane, giacché nessuna norma gliela attribuisce, agevolmente si comprende come la sua entrata in funzione non possa aver determinato la cessazione addirittura automatica della specifica competenza dell’Alta Corte, la quale, checché se ne dica, resta il giudice naturale del controllo in via preventiva delle leggi regionali siciliane per le questioni di competenza legislativa e fra lo Stato e la regione nell’ambito della regione.
E questa competenza, sotto altri aspetti, è più ampia, giacché comprende il sindacato di costituzionalità dei regolamenti statali e la cognizione dei reati compiuti dal presidente e dagli assessori regionali, materia assolutamente sconosciuta alla competenza della Corte costituzionale. Con l’appartenenza all’Alta Corte d’una sfera di competenza esclusivamente propria, se anche l’entrata in funzione della Corte costituzionale implicasse devoluzione a questa del sindacato di costituzionalità delle leggi regionali e statali attribuito dallo statuto siciliano all’Alta Corte, si avrebbe, caso mai, solo una riduzione di competenza che non ne impedirebbe la sopravvivenza”.
Lo Scotto, dopo un’acuta analisi delle competenze delle due Corti, così conclude: “Mancando nello statuto siciliano quell’attribuzione che - come si è detto - è condizione della sua competenza per le questioni di competenza legislativa fra Stato e regione, difetta il presupposto oggettivo perché la competenza al riguardo attribuita all’Alta Corte possa essere assorbita dalla Corte costituzionale”.Per il professore Andrioli, dell’università di Pisa, che è un sostenitore della tesi del passaggio del controllo di legittimità delle leggi della regione alla Corte costituzionale, rimangono però fermi per l’Alta Corte il controllo sulla legittimità dei regolamenti statali, che gli articoli 134 della Costituzione e 2 della legge costituzionale n. 2 non attribuiscono alla Corte costituzionale, nonché la cognizione dei reati del presidente e degli assessori regionali.
E termino con le citazioni, per non annoiare i colleghi; ma non posso tacere di un completo e profondo studio, che vorrei qualificare decisivo e al quale ha accennato testè l’onorevole Dante: lo studio condotto dal professore Sandulli, il quale, dopo un’acuta e sapiente disamina, perviene a questa conclusione: “Una speciale giurisdizione costituzionale con attribuzioni non coincidenti con quelle della Corte costituzionale è sufficiente ad escludere che l’entrata in funzione della Corte costituzionale importi automaticamente, o in virtù di atto di imperio meramente esecutivo, il venir meno di quella speciale giurisdizione”.
Ho voluto accennare al parere di non pochi pubblicisti, i quali decisamente insistono sul tema che l’Alta Corte non è caduta, non può essere automaticamente assorbibile anche in seguito a sentenza, per concludere che a parte la situazione, in re ipsa, buona parte della dottrina corrente conforta la Camera ad accogliere la proposta della costituzione della sezione speciale da noi richiesta. Quali sono le preoccupazioni che spingono alla fusione in uno solo dei due organi costituzionali tuttora esistenti ? Sono - si dice - le stesse che portarono alla istituzione della Cassazione unica.
Ebbene, con la proposta della istituzione della sezione speciale, incorporata nella Corte costituzionale, queste preoccupazioni si superano. La Corte costituzionale infatti resta così unico organo della Repubblica a presidio della legittimità costituzionale delle leggi, e al tempo stesso si sana e si supera una situazione delicata (a parte la questione politica che è di gran peso): quella di non toccare e ledere profondamente la funzione dell’Alta Corte che, per la diversità del contenuto, per la diversità del sistema dei controlli, senza l’accorgimento della sezione, non potrebbe non essere integralmente lasciata in vita, nella pienezza delle sue attuali funzioni, come dimostra sì larga letteratura e, diciamolo pure, la più acuta sensibilità del senso giuridico italiano. A dimostrare tutta la sua buona volontà perché potesse essere spianata la via ad una soluzione accoglibile, l’assemblea regionale siciliana, interpellata, ha acconsentito alla creazione della sezione, nell’ambito della stessa Corte costituzionale, sezione che, badate, avrebbe una maggioranza precostituita, formata da tre giudici scelti dallo stesso presidente della Corte che presiederà la sezione, e da tre giudici, segnalati dall’assemblea regionale e nominati dal Presidente della Repubblica.
Quale altra dimostrazione di arrendevolezza poteva attendersi da una assemblea che sempre, fin dal primo vagire, ha visto e concepito l’Alta Corte come il presidio della guarentigia e della tutela del suo statuto?
Quale maggiore atto di buona volontà e di comprensione di quella di un popolo che, custode di una millenaria tradizione e di esperienza, reso consapevole di tutte le sottili e abili insidie, che re ed imperatori di volta in volta misero in opera per tentare di svuotare di ogni facoltà e competenza il suo parlamento o i capitoli giurati, nel 1945 senti profondo ed istintivo il bisogno di porre come conditio, a salvaguardia del suo statuto, la difesa di un’Alta Corte paritetica, che ora, con un atto semplicistico e pericoloso, si vorrebbe sopprimere ?
Il professor Mortati nell’avvertire acutamente l’alto valore che a questo organo attribuisce la sensibilità della gente siciliana, in uno studio apprezzato, inteso a sostenere la caducità dell’Alta Corte, scriveva che occorre non considerare coessenziale con l’autonomia siciliana la attribuzione all’Alta Corte delle funzioni di esclusiva tutrice della medesima.
Sono freddi e riflessivi ragionamenti, questi, non certo sufficienti a sedare l’apprensione di chi ha dovuto assistere, e con vero stupore, al tentativo, chiamiamolo sbrigativo e contro ogni precetto, di soppressione di un organo costituzionale, anche contro la chiara direttiva dettata da una altissima Assemblea, come il Senato, tentativo che ha risvegliato e fatto riaffiorare antichi ricordi di violenza e di inganni subiti, ravvivando diffidenze (e lo dico per i colleghi che non conoscono la storia remota e recente della Sicilia) che era stato nostro studio di attenuare, anzi, di cancellare. Onorevoli colleghi, molti scrittori e viaggiatori dei secoli scorsi hanno notato nel carattere siciliano una accentuata riservatezza, un aperto spirito di diffidenza. Certo, il carattere isolano è naturalmente riservato, ma la diffidenza del siciliano è quella del contadino che nelle terre dell’antico reame, nelle terre classiche del feudo, specialmente, si è visto fino a poco tempo fa costantemente sfruttato ed indifeso, circondato qualche volta di sorrisi, ma sorrisi ingannevoli che lo hanno reso sempre più circospetto.
Ora il popolo siciliano è diffidente per esperienza, come il contadino. Nel ricordo tenace e nella sua tradizione è rimasto e resta nostalgico quello dei fasti del regno indipendente normanno-svevo e di quel primo parlamento che lo governò, uno dei primi parlamenti apparsi sulla scena della vita civile che non ebbe bisogno di garanzie, posto come fu sulla pietra angolare della buona fede e del rispetto. Un parlamento che ebbe sede augusta, per le sue più alte assemblee, nella stessa metropoli di Palermo e che operò per la felicità del popolo. Ma dalla caduta degli Svevi fino al 1860 è tutta una sequenza di resistenze e di rivolte, per riportare i principi al rispetto delle costituzioni, dei capitoli, del parlamento. All’arrivo di Garibaldi i siciliani erano tutti federalisti, ma sacrificarono le loro idee, convertendosi all’unità ad una condizione: che fosse salva l’autonomia.
Michele Amari ebbe a dire che, se l’annessione alle province emancipate è necessaria, il conservare l’autonomia siciliana è indispensabile. Vito d’ Ondes Reggio, che onorò di poi il Parlamento italiano, aggiunse: “Casa Savoia, ma autonomia massima e parlamento separato”.
Alla vigilia del plebiscito, il prodittatore Mordini, riunito a Palermo un consiglio straordinario di Stato, vi diede annunzio della relazione che il ministro Farini aveva presentato al consiglio di Stato a Torino, relazione con la quale si accoglieva il principio dell’ordinamento autonomistico del regno e si fece proporre dallo stesso consiglio straordinario di Sicilia uno statuto regionale composto di 20 articoli, nel quale all’articolo 14 era detto: “Considerata la tenuità del debito pubblico, cagionata soltanto dalla mancanza di opere pubbliche nell’isola, si propone che il parlamento nazionale voglia iscrivere una rendita a favore della regione siciliana onde apprestare un fondo speciale e straordinario al fine di livellare le condizioni economiche a quelle delle altre regioni d’Italia” (le quali - mi si consenta l’aggiunta personale, solo a titolo storico - portavano nel cumulo un forte debito pubblico insieme coi loro lavori pubblici).
Celebrato il plebiscito nel clima della solidarietà e della autonomia accolta ed esaltata (Minghetti andava dicendo ovunque che alcune regioni come la Sicilia e la Sardegna erano proprio fatte apposta dalla stessa natura), vennero subito dimenticati i venti articoli della legge Mordini; non si parlò più del fondo speciale; a Torino, l’autonomia apparve un grosso pericolo per l’unità d’Italia e fu abbandonata.
Ed è del Saredo la frase irosa dell’ “abbietta commedia”, alla quale fece eco quella della “meditata slealtà” pronunciata da un modesto artigiano, ma che divenne una insegna, un motivo riecheggiato in ogni casolare e sempre più accentuatamente dal giorno in cui, e non passò molto dal plebiscito, le redini del nuovo Stato passarono definitivamente nelle mani di uomini dai tradizionali indirizzi liberistici, portati a valorizzare solo le zone nelle quali gli investimenti hanno un maggiore rendimento immediato, ciecamente trascurando tutto il resto. Dico ciecamente perch6 allo sbarco degli alleati nel 1943 (voglio concludere e non posso indugjarmi in altri ricordi e particolari che mi porterebbero lontano), con la paralisi dello stretto e delle comunicazioni marittime, la Sicilia vide, ad occhio nudo, come per la caduta di uno spesso velario, la sua tragica desolante realtà; al di là dei suoi prodotti agricoli faticosamente strappati a terreni insidiati dalla malaria, dove non era stata tentata alcuna politica, non intersecati da strade, l’isola non disponeva di alcun altro prodotto industriale, né di ferro, né di cemento, né di petrolio, né di vestiario, né di macchine di alcun genere, nemmeno di spilli, nemmeno di cerini, essa che, prima del 1860, aveva avuto quasi il monopolio degli zolfanelli. In questo ambiente di miseria, nel quale tutto mancava, in questo ambiente di sconforto, si accese quel movimento separatista al quale hanno accennato diversi onorevoli colleghi intervenuti e del quale mi astengo dal parlare come maggiore esponente e responsabile del suo contenimento e perché è bene che il giudizio definitivo su di esso sia rimesso alla storia.
Onorevoli colleghi, non vi sembri strano che abbia voluto, sia pure molto succintamente, ricordare, a chiusura di questo mio intervento, episodi ed eventi passati. Conversando nel pomeriggio di ieri qui dentro con alcuni colleghi del nord, ho dovuto constatare che molti di essi erano malamente informati sulle cose di Sicilia. All’arrivo degli alleati, l’isola era in uno stato di abbandono - non è esagerazione - paragonabile solo a qualche regione dell’interno dell’Africa. Diversi giovani lombardi, figli di vecchi popolari, in servizio militare in Sicilia, i quali conobbero il mio indirizzo e mi vennero a trovare nella mia città dove vivevo quasi in esilio, si mostravano desolati nel constatare che una si considerevole parte del territorio italiano, ed essi aggiungevano così delizioso nel clima e nella potenza produttiva, fosse lasciata in sì lacrimevole abbandono; e questo giudizio veniva formulato prima che, con lo scatenarsi della preparazione dello sbarco, fossero distrutte città intere come Marsala e Messina, gravemente danneggiate come Palermo, Trapani, Siracusa, Caltanissetta, e tanti e tanti altri centri abitati.
All’apparire degli alleati, come potete immaginare, fosco era tutto il quadro della vita isolana, ed un sordo rancore, alimentato abilmente, investiva tutto il passato recente e lontano. nella desolante visione di quel presente che si faceva apparire ormai irreparabile, a meno che non intervenissero forze esterne ed aiuti che l’Italia non avrebbe più potuto dare. Lasciamo alla storia di stabilire chi degli alleati abbia avuto maggiore parte nel tentativo della separazione, ma non dimentichiamo che fu opera difficile, dura, quasi impari nel primo tempo quella di pochi uomini legati da un attaccamento indefettibile alla patria italiana ed alle più sane tradizioni risorgimentali, quella di fronteggiare su diversi fronti un così largo attacco, quella di opporsi coraggiosamente anche all’occupante, il quale ebbe modo di saggiare di che tempra fossero gli unitari nazionali di Sicilia ed a tempo cambiò tattica e tono. Furono scritte, credetemi, in tale clima, pagine di dignità e di coraggio che possono onorare la storia di ogni popolo. Ebbene, fu nel clima di quel tempo che la consulta siciliana esaminò lo statuto e, nell’esame dei sette articoli che riguardano l’Alta Corte, fu insistente, minuta, sottile, analitica, fu pignola. Volle assicurato alla statuto una valida, certa garanzia, una difesa, un presidio stabile, sospinta in ciò - come vi dicevo - dalle esperienze amare che i secoli hanno sedimentato nel profondo della coscienza di molte generazioni.
Ebbene questo presidio, oggi, si vorrebbe cancellato, soppresso. Si ha un bel dire che l’autonomia è tutelata dalla Corte costituzionale e con questo si vorrebbe tranquillizzata la coscienza siciliana; ma i mezzi incautamente messi in opera lasciano perplessi, anzi allarmano. E’ con la istituzione della sezione speciale che si viene a tranquillizzare tutti; tranquillizzati i sostenitori dell’unico organo costituzionale di controllo, tranquillizzati i siciliani che così non vedono scalfite le posizioni del loro statuto, soddisfatta la fitta schiera dei giuristi che, sostenendo la possibilità di coesistenza delle due corti, non ammette che si possa assorbire una sola parte delle competenze dell’Alta Corte senza colpire lo statuto di Sicilia e quindi la stessa Costituzione.
Onorevoli colleghi, ho sentito dichiarare che per la volontà della maggioranza di questa Camera le carte dell’Alta Corte passeranno agli archivi. Badate, nell’interesse di tutti, io dico, quod Deus avertat. Non ho il temperamento dell’uomo portato a drammatizzare.
Spero che ciò non avvenga, ripensiamoci bene tutti, riflettiamoci. In ogni caso era mio dovere dire quello che ho detto, in ogni caso era opportuno parlare e parlare come ho parlato; in ogni caso, quando altro a me non dovesse restare, e non fosse conservata l’Alta Corte costituzionale di Sicilia - e ripeto quod Deus avertat - potrei sempre dire: liberavi animam meam !