Andrea Finocchiaro Aprile

 

Nacque a Lercara (Palermo) il 26 giugno 1878 da Camillo e da Giovanna Sartorio. Laureatosi in giurisprudenza e conseguita la libera docenza, insegnò storia del diritto all'università di Ferrara e, quindi, nell'anno accademico 1912-13 fu incaricato a Siena. Dal 1916 al 1919 fu membro del consiglio superiore della Pubblica Istruzione.

Potendo contare nel Palermitano sulla solida e vasta base elettorale di cui godeva il padre, ministro nel governo Giolitti, il F. venne eletto deputato nel 1913. Allo scoppio del primo conflitto mondiale si ritrovò sulle posizioni neutraliste giolittiane, rendendosi così interprete degli interessi della borghesia agraria siciliana, consapevole che la guerra avrebbe arrecato danni all'agricoltura dell'isola. Legatosi Nitti, il Finocchiaro, venne da questo chiamato a far parte del suo governo: dal 23 giugno 1919 al 14 marzo 1920 come sottosegretario alla Guerra e quindi, dal 15 marzo al 22 maggio 1920, come sottosegretario al Tesoro. Alle elezioni del 16-17 nov. 1919 il Finocchiaro, quale principale esponente del gruppo demosociale nittiano, in concorrenza con la lista liberale guidata da V.E. Orlando, beneficiò anche dell'appoggio prefettizio venendo riconfermato alla Camera.

Il F., che tra i nittiani era stato uno dei meno inclini a sostenere il governo Giolitti, subì i contraccolpi delle difficoltà politiche di Nitti. Nel 1921 affrontò una non facile campagna elettorale, incentrandola sul collegamento tra la "questione siciliana" e l'esigenza generale di un decentramento amministrativo e regionale. Rieletto, il F. fu tra i pochi notabili che non scesero a patti con il fascismo. Alle elezioni del 1924 il F. si presentò nelle liste dell'Unione nazionale di Giovanni Amendola, denunciando la natura reazionaria del fascismo, espressione - a suo giudizio - degli interessi del capitalismo settentrionale contro il Mezzogiorno d'Italia, ma non fu rieletto.

Nel 1925 venne chiamato a far parte di una commissione mista incaricata di studiare le modifiche da apportare alla legislazione ecclesiastica, svolgendo per conto della massoneria, cui era affiliato, un abile ruolo frenante nei confronti delle aperture di Mussolini alla Chiesa. Ritiratosi dall'attività politica il F. esercitò a Roma la professione forense, non mancando di manifestare, in occasione della guerra d'Etiopia e dell'unione dell'Albania all'Italia, il proprio consenso al fascismo.

Non è dato di sapere con attendibilità quando il F. cominciò a concepire un programma indipendentistico per la Sicilia. Secondo quanto ebbe a dichiarare lo stesso F. in epoca successiva, già nel 1939 egli avrebbe ventilato ad amici inglesi il suo progetto separatista. Certo è che nell'inverno 1942, facendo leva sull'"ascendente che gli proveniva dalla sua qualità di notabile ... fece un lungo giro in Sicilia, prendendo contatto con i gruppi indipendentistici che già esistevano nell'isola e con vari esponenti della politica siciliana prefascista" .

Di fronte alla progressiva crisi dei regime era sembrato a questi gruppi che fosse giunto il momento di mettere in discussione l'unione della Sicilia all'Italia. Non si sa quanto artatamente suscitata dai servizi segreti alleati e quanto rispondente a un malcontento popolare nei confronti dello Stato italiano, la retorica sicilianista fu agitata alla vigilia dello sbarco degli angloamericani in Sicilia.

Il 12 giugno 1943 un Comitato d'azione provvisorio, del quale il F. era membro di spicco, diffuse a Palermo un appello al "popolo di Sicilia" per invitarlo alla resistenza passiva contro i fascisti.

Un mese dopo, a sbarco alleato avvenuto, il Comitato, trasformatosi in Comitato per l'indipendenza siciliana, diffuse un altro appello, in cui si affermava che la Sicilia intendeva "organizzarsi, governarsi e vivere separatamente". Mentre le autorità militari alleate mostravano una cauta apertura nei confronti delle istanze dei separatisti, il F. ritenne che le circostanze fossero quanto mai propizie al raggiungimento dei suoi scopi e mise in atto una pressione "diplomatica" (tra il luglio 1943 e il marzo 1944 inviò lettere e memoranda a W. Churchill, A. Eden, C. Hull, Giorgio VI, Pio XII, Ch. de Gaulle) affinché fosse accolta in sede internazionale la richiesta di indipendenza. Nel perorare la causa indipendentistica, egli avanzava ai diversi destinatari profferte in contrasto tra loro, prospettando scenari in cui la Sicilia era destinata ad entrare nell'orbita inglese oppure americana, ad essere una repubblica oppure una monarchia, ad accogliere insediamenti economici di questo o quel paese. In una lettera al re d'Inghilterra, Giorgio VI, il F. giunse a prospettare "l'opportunità di annettere al nuovo stato siciliano territori dell'Africa settentrionale". Un'offensiva diplomatica fondata su tali argomenti, lungi dal trovare credito, contribuì a far precipitare la credibilità del F. - considerato dagli Inglesi "uomo completamente mancante di equilibrio" - e del movimento separatista.

Dopo l'armistizio tra l'Italia e gli Alleati la prospettiva dell'indipendenza della Sicilia per concessione esterna divenne sempre più inconsistente e ciò indusse i separatisti ad ingaggiare uno scontro diretto con lo Stato italiano.

Nel movimento separatista erano intanto confluite diverse componenti sociali e politiche, espressioni di interessi contrapposti: latifondisti e sottoproletariato, notabili del prefascismo, piccola e media borghesia, con connotazioni politiche, che andavano dalla destra reazionaria alla sinistra rivoluzionaria, attraversando tutte le sfumature liberali, democratiche, laiche e cattoliche.

L'11 febbr. 1944 con il ripristino della sovranità italiana sull'isola e la contestuale istituzione dell'Alto Commissariato per la Sicilia si aprì una nuova fase. I separatisti, organizzati nel Movimento per l'indipendenza siciliana, preannunciarono per bocca del F. una "lotta senza quartiere" per il raggiungimento del loro obiettivo. Ma era ormai avviato il processo verso la concessione dell'autonomia, che, recependo molte istanze della protesta sicilianistica, contribuì a ridurre l'influenza del separatismo. Quando poi, il 25 febbr. 1945, venne istituita la Consulta regionale, all'interno dello stesso movimento per l'indipendenza si determinò una divaricazione. Il F. assunse il ruolo di mediatore tra la tendenza moderata, incline al compromesso con lo Stato italiano, e quella intransigente.

Dopo i tragici fatti di Palermo - il 19 ott. 1944 una manifestazione di bancari degenerò e gli scontri con la forza pubblica provocarono 19 morti e 108 feriti - il movimento separatista fu oggetto di una decisa azione repressiva da parte del governo. In realtà il F. stentava a mantenere il controllo su un movimento sempre più disgregato e nel quale si agitavano spinte contrapposte. Tra chi tramava per offrire la corona della Sicilia ai Savoia nell'eventualità di un'Italia repubblicana, chi non rinunciava all'idea di fare dell'isola il quarantanovesimo stato della Confederazione americana e i separatisti "puri" fautori di una repubblica siciliana indipendente, il F. manteneva una posizione elusiva. In tal modo tutte le iniziative spontanee, e le manovre più spregiudicate ed oscure, che innalzassero il vessillo separatista finivano per avere sostanziale legittimazione e copertura politica da parte del Finocchiaro. Alla vigilia della conferenza di San Francisco, nel marzo 1945, tornò a sviluppare la sua iniziativa "diplomatica" scrivendo a Eleanor Roosevelt "saremmo lieti e orgogliosi se la Sicilia potesse essere la "longa manus" degli Stati Uniti in Europa": e inviando un ampio e articolato memorandum alle potenze ivi riunite.

Dopo che alcuni atti di guerriglia e la morte di A. Canepa (il comandante dell'esercito volontario ucciso con due suoi compagni in un conflitto a fuoco con i carabinieri il 17 giugno 1945) avevano rivelato la pericolosità e la determinazione del separatismo armato, il F. tentò ancora una volta di volgere a suo favore la situazione cercando di accreditare una Sicilia alla vigilia dell'insurrezione; ipotesi che, secondo il F., gli Alleati avrebbero potuto scongiurare accogliendo l'istanza indipendentistica.

Un appello in tal senso, che il F. rivolse ai ministri degli Esteri delle cinque grandi potenze riunite a Londra, venne ritenuto inammissibile e provocatorio dal governo presieduto da F. Parri, che dispose l'arresto del F. e di altri due esponenti separatisti, A. Varvaro e F. Restuccia. Tratto in arresto il 1° ottobre 1945, il F. fu confinato nell'isola di Ponza.

Lo scontro tra reparti dell'esercito italiano e la guerriglia separatista, avvenuto il 29 dic. 1945 a San Mauro di Caltagirone, e l'arresto di alcuni capi segnarono la fine dell'offensiva separatista.

Quando il 27 marzo 1946, ottenuta la revoca del domicilio coatto, il F. fece ritorno a Palermo trovò un movimento assai indebolito ed ora diviso anche dalla scelta istituzionale. Molti notabili separatisti trasmigravano verso i partiti tradizionali, mentre la promulgazione dello statuto siciliano, il 16 maggio 1946, sottraeva ulteriore spazio alle manovre del Movimento per l'indipendenza siciliano.

Di fronte a tali difficoltà divenne decisiva per le sorti del movimento la prova elettorale del 2 giugno; e il F., che pure professava idee repubblicane, ritenne più redditizia una posizione neutrale sulla scelta istituzionale, concentrando l'impegno del movimento indipendentista sulle elezioni per l'Assemblea costituente. In un appello ai Siciliani il F. e Varvaro usavano ora toni più concilianti nei confronti dello Stato italiano, puntando ad una soluzione federale. Il risultato elettorale assai deludente, che assegnava al movimento solo quattro seggi, tra cui quello del F. eletto a Palenno, nonché la vittoria della repubblica diedero il colpo di grazia alla crisi del movimento. Resosi conto che la tattica della continua mediazione non era più praticabile il F. rinunciò ad un estremo tentativo di ricomporre l'unità del movimento e si mostrò più che altro preoccupato di salvaguardare la propria figura morale e recuperare l'antica immagine di discepolo di Nitti, democratico e meridionalista.

Alla Costituente il F. intervenne soprattutto sulla questione delle autonomie e, pur insistendo nella preferenza per uno Stato federale, diede un originale apporto alla caratterizzazione anticentralista dello Stato repubblicano. Ma l'intervento in assemblea che ebbe maggior rilievo fu quello che pronunciò il 19 luglio 1946, attaccando duramente gli esponenti siciliani della Democrazia cristiana, denunziando sevizie e torture a cui sarebbero stati soggetti alcuni giovani indipendentisti e auspicando l'affermazione del comunismo in Italia, anche perché, a suo giudizio, il Movimento per l'indipendenza siciliana era un movimento a maggioranza socialcomunista. Il discorso suscitò grande scalpore nel mondo politico, sulla stampa e soprattutto in Sicilia, dando luogo ad ulteriori fratture in seno al movimento. Le affermazioni filocomuniste del F. vennero contestate soprattutto da Varvaro, che pure era l'esponente di maggiore spicco dell'ala più progressista dei movimento e che si dimise da segretario generale.

Con una ulteriore conversione tattica al III congresso del Movimento per l'indipendenza siciliana, svoltosi a Taormina dal 31 gennaio al 3 febbr. 1947, il F. appoggiò la maggioranza di centrodestra che decise l'espulsione di Varvaro dal movimento. Nel febbraio 1947 si rese protagonista di un altro violento attacco ad esponenti democristiani, in particolare ai ministri E. Vanoni e P. Campilli, accusandoli di occupare cariche retribuite in enti statali e parastatali.

Il 20 apr. 1947 il F. venne eletto deputato alla prima Assemblea regionale siciliana, dalla quale si dimise il 2 marzo 1948 per potersi presentare candidato alle elezioni politiche nazionali. Rinunziò infatti alla nomina a senatore di diritto, che gli sarebbe spettata in quanto deputato da almeno tre legislature. Presentatosi sia alla Camera sia al Senato non riuscì eletto. Dopo la bocciatura elettorale si dimise da presidente del Movimento per l'indipendenza siciliana, ormai ridotto ad una semplice sigla. L'uscita di scena del F. segnava l'epilogo del movimento del quale egli era stato l'indiscusso capo carismatico.

Conclusa l'esperienza separatista, il F. si avvicinò al partito comunista, senza peraltro aderirvi. Nel 1953 con altri esponenti del liberalismo prefascista e della massoneria diede vita alla lista di Alleanza nazionale, che raccogliendo 300.000 voti nelle elezioni del 7 giugno contribuì in modo decisivo alla sconfitta del progetto di legge maggioritario. Il F. fu quindi giudice dell'Alta Corte siciliana, presidente della Lega dei diritti dell'uomo e membro del Comitato mondiale dei partigiani della pace.

Abbandonata ogni attività politica e professionale, il F. trascorse a Palermo l'ultimo periodo della sua vita. Morì a Palermo il 15 genn.1964.