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AUGUSTA Sono un Malato di Cancro e vorrei dirvi che... 

 08 Settembre 2014

 

Tra le manifestazioni pacifiche organizzate dall'Arciprete della Chiesa Madre di Augusta Palmiro Prisutto ce n'è una  intitolata "Sono un Malato di Cancro, vorrei dirvi che", con questa idea il combattivo Sacerdote invita la popolazione a raccontare la propria storia, a testimonianza di ciò che accade nel territorio in cui insistono chilometri di costa insediati dagli stabilimenti industriali.

Tra queste c'è la storia del Signor Ragaglia, scritta proprio dalla figlia con la speranza di dare forza alla battaglia ingaggiata da Palmiro Prisutto. 

Di seguito il testo scritto da Paola. 

 

"Caro Padre Palmiro Prisutto, accolgo la sua richiesta e racconto la nostra esperienza, d'accordo anche con la mia mamma.

Ecco la storia di mio papà. Spero che anche altri facciano la stessa cosa, non è facile, ma è importante farlo.

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La storia di mio padre purtroppo credo sia analoga a quella di molti augustani.

Il calvario, il dolore di una famiglia che assiste impotente, giorno per giorno, ad una vita che si spegne, quella di un proprio caro.

Non è facile raccontare, si deve scavare dentro la propria ferita, ancora una volta, per l’ennesima volta.

E fa male, molto male.

Poi subentra il pudore, si mette in piazza il dolore proprio e della propria famiglia e pure quei momenti intimi che forse andrebbero protetti.

Ti poni molte domande, ma poi capisci che è davvero necessario, e soprattutto un dovere morale, parlarne.

Io ho deciso di farlo per lui e per chi adesso sta soffrendo come ha sofferto lui.

**Dovremmo farlo tutti**.

Mio papà abitava di fronte al porto commerciale di Augusta. 

Dal balcone di casa il panorama era quello delle raffinerie.

A volte bisognava chiudere le finestre per non sentire gli odori nauseabondi che pervenivano dalle industrie petrolchimiche. 

Ricordo, tanti anni fa, che ogni tanto si vedeva tantissima schiuma in riva al mare e tantissimi pesci morti. 

Ogni tanto succedeva. 

Succedeva anche che a Punta Izzo, dopo un tuffo in mare, tornavo su con i piedi sporchi di catrame, per via dello scarico in mare delle acque di zavorra.

Ogni tanto succedeva. 

La tragedia è che dopo un po’ ti sembra tutto normale. 

Mio padre non lavorava al polo petrolchimico. 

Mio padre era un medico, mio padre curava i malati, anche quelli come lui, 

per i quali non c’era molto da fare, se non offrire il sostegno, il conforto da “medico di famiglia”.

Nei primi mesi del 2008 mio padre iniziò ad avere problemi respiratori, il cosiddetto classico “affanno”.

Ci raccontava che i controlli effettuati rilevavano un inizio di fibrosi polmonare.

La fibrosi polmonare è idiopatica, è classificata come malattia rara,

è una malattia che ti ruba il fiato, nel senso stretto del termine.

Non c’è una cura per la fibrosi, l’unico sostegno è la bombola dell’ossigeno.

Eravamo preoccupati, certamente, perché la respirazione di papà peggiorava sempre di più, ma non potevamo immaginare il resto! 

Papà si sottoponeva a TAC , radiografie ed altri controlli, fino a quando

il 24 maggio 2010 non sopraggiunse un collasso polmonare.

Da quel momento non poté fare a meno dell’ossigeno.

Ma è anche da quel momento che noi familiari abbiamo scoperto, dalle carte cliniche, che il problema principale di papà non era la fibrosi, bensì il mesotelioma pleurico.

Il mesotelioma pleurico!!!!

Sappiamo bene che il più importante fattore di rischio per il mesotelioma è l’esposizione all’amianto: la maggior parte di questi tumori riguarda infatti persone che sono entrate in contatto con questa sostanza.

Eppure mio papà non lavorava al polo petrolchimico, semplicemente abitava ad Augusta!!

Mio papà aveva scoperto questo terribile male già l’anno precedente, ma ha scelto di proteggerci, non raccontandoci nulla fino all’inevitabile evidenza.

Da quel 24 maggio la situazione è precipitata, papà non ha più lasciato il suo letto perché non si reggeva in piedi e non ha più lasciato la bombola dell’ossigeno.

Era evidentemente dolorante al petto, ma ha sofferto dignitosamente, 

non si lamentava, si limitava a dire che aveva fastidio.

La verità è che la sua sofferenza era palese, nonostante le sue parole.

Mi cercò, poco prima di entrare in coma, e feci in tempo a fargli capire

che ero lì con lui, a baciarlo e a vedere il suo sorriso nel riconoscere la mia voce.

Mio padre era alto 1,80 e alla data del 1 settembre 2010, quando ci ha lasciato, non credo che pesasse più di 50 chili e aveva solo 73 anni.

E’ giusto che tante famiglie augustane paghino questo prezzo ?

E’ inaccettabile e vergognoso che non arrivino risposte serie e forti dalle istituzioni competenti.

E’ inaccettabile che i responsabili dello scempio perpetuato ai danni di Augusta e degli augustani restino impuniti.

E’ immorale l’indifferenza e l’omertà.

Paola Ragaglia"